Con l’ordinanza n. 18721 del 01/07/2021, la Corte di Cassazione civile ha fornito importanti chiarimenti in tema di esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento nell’ambito della convivenza more uxorio, una volta terminata l’unione sentimentale. Nello specifico, nel caso de quo la Suprema Corte è stata chiamata ad accertare se le somme versate da uno dei conviventi al fine di svolgere lavori di ristrutturazione nell’immobile di proprietà dell’altro dovessero essere qualificate come obbligazioni naturali (quindi non ripetibili), o se diversamente ne fosse ammessa la ripetizione.
La disciplina codicistica
Nel caso di specie, sono venute in rilievo due disposizioni codicistiche, ovvero gli articoli 2034 c.c. e 2041 c.c. L’art. 2034 c.c., riguardante le obbligazioni naturali, prevede al primo comma che: “Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace”, specificando al comma 2 che: “I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti”. Diversamente, l’art. 2041 c.c., avente ad oggetto la disciplina dell’azione generale di arricchimento, precisa al comma 1 che: “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.
Il giudizio di primo grado
Nel caso de quo, Tizio aveva citato in giudizio Caia, ex compagna convivente, dinanzi al Tribunale di Udine, per ottenerne la condanna al pagamento di una somma pari ad Euro 90.000,00 corrispondente a quanto dallo stesso pagato per eseguire una serie di lavori ed opere nell’immobile di proprietà della convenuta. Il Tribunale di Udine accoglieva le ragioni di Tizio, condannando così Caia al pagamento della somma richiesta, non ritenendo gli esborsi effettuati da Tizio riconducibili alla solidarietà conseguente alla comunanza di affetti, durata solo quattro anni. Il Tribunale di Udine aveva tenuto in considerazione una serie di elementi, quali l’esclusivo vantaggio ricavato da Caia nell’esecuzione dei lavori, nonché l’obiettiva consistenza della somma impiegata rispetto al reddito e al complessivo patrimonio di Tizio.
Il giudizio di secondo grado
Successivamente, Caia impugnava la sentenza di primo grado avanti la Corte d’Appello di Trieste per aver tale sentenza ritenuto sussistenti i presupposti di cui all’art. 2041 c.c. anziché quelli di cui all’art. 2034 c.c. La Corte d’Appello di Trieste ha accolto le ragioni di Caia, qualificando le prestazioni effettuate da Tizio come obbligazioni naturali, trovando esse giustificazione nei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e di reciproca assistenza nei confronti dell’ex compagna. La Corte d’Appello ha evidenziato come Tizio avesse attivamente partecipato ai lavori di ristrutturazione, scegliendo in modo autonomo gli impianti e gli arredi da utilizzare nella casa di Caia, avendo in ogni caso egli deciso volontariamente di farsi carico di una parte delle spese di ristrutturazione dell’immobile.
La pronuncia delle Corte di Cassazione
In seguito, Tizio ricorreva avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste, per avere quest’ultima erroneamente ritenuto applicabile nel caso di specie il disposto dell’art. 2034 c.c. Tizio riteneva infatti sussistente il diritto ad esperire l’azione di ingiustificato arricchimento, poiché queste superavano i limiti di proporzionalità e adeguatezza e avevano portato un consistente vantaggio economico all’ex compagna. La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, considerato che l’importo delle operazioni effettuate da Tizio doveva “essere ricondotto all’adempimento di un dovere morale e sociale, così da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all’art. 2034 c.c., non esorbitante dalle esigenze familiari e rispettoso dei minimi di proporzionalità ed adeguatezza di cui alla medesima disposizione”. Pertanto, la Suprema Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto: “un’attribuzione patrimoniale a favore dl convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un’obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens”. La Suprema Corte ha così confermato la statuizione della Corte d’Appello di Trieste circa la configurabilità della prestazione di Tizio come adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., ritenendo esistente un rapporto di proporzionalità tra le opere realizzate e l’adempimento dei doveri morali e sociali da lui assunti nell’ambito della convivenza more uxorio con Caia, non ritenendo pertanto esperibile da parte di Tizio l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.
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