Il contratto di lavoro intermittente, o a chiamata, è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro per svolgere prestazioni di carattere discontinuo, individuate dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale, ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

Relativamente a questa tipologia di contratto, l’art. 34 del D.lgs. n. 276/2003, stabilisce che “il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età”.

Secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’UE, tale normativa non contrasta con i principi di uguaglianza e parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Direttiva 2000/78/CE: “La facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire e di licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità”.

Il caso in questione riguarda un giovane commesso, assunto dalla nota società di abbigliamento “Abercrombie & Fitch” nel 2010 con contratto a chiamata a tempo determinato, poi convertito a tempo indeterminato nel 2012, il quale veniva licenziato a luglio dello stesso anno in quanto compiva 25 anni. In seguito al ricorso posto in essere dal lavoratore, la Corte di Appello di Milano dichiarava tale licenziamento discriminatorio ed ordinava ad “Abercrombie” la reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro.

La Corte di Cassazione successivamente adita, sollevava però questione di pregiudizialità avanti la Corte di Giustizia, chiedendo la compatibilità della normativa italiana sul lavoro intermittente con il diritto dell’UE.

Sebbene la licenziabilità del lavoratore al compimento del venticinquesimo anno introduca effettivamente una disparità di trattamento fondata sull’età, la Corte dichiarò compatibile la normativa italiana con il diritto europeo, in quanto “tale differenza di trattamento è giustificata dalla finalità di favorire l’occupazione giovanile. Infatti i giovani sotto i 25 anni sono normalmente penalizzati sul mercato del lavoro dall’assenza di esperienza professionale. Per controbilanciare tale situazione, il contratto intermittente riservato agli infraventicinquenni consente agli stessi non tanto di ottenere un lavoro stabile, quanto piuttosto di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso al mercato del lavoro”.

Fonte:

Art. 34, D.lgs. 276/2003;

Direttiva 2000/78/CE;

Causa C-142/1, “Abercrombie & Fitch” contro Antonino Bordonaro