L’art. 173 della Legge Fallimentare stabilisce che “il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori”.

Tale procedimento viene avviato anche nel caso in cui il debitore “durante la procedura di concordato compia atti non autorizzati a norma dell’art. 167 o comunque diretta a frodare le ragioni dei creditori o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato”. Durante la procedura di concordato, infatti, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale.

Vi sono però degli atti di straordinaria amministrazione, elencati non esaustivamente dall’art. 167 L.f., potenzialmente pericolosi per il soddisfacimento degli interessi dei creditori ed al verificarsi dei quali, senza previa autorizzazione del Giudice delegato, consegue l’interruzione della procedura concordataria, a vantaggio dell’apertura di quella fallimentare.

Tali atti sono, ad esempio, “i mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione”.

Non sempre, però, questi criteri sono applicabili anche al caso di concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis L.f., ove il piano di concordato prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore.

Il caso in questione riguarda l’avvenuta assunzione di un dipendente, da parte di un’impresa commerciale in concordato preventivo con continuità aziendale, senza previa autorizzazione giudiziaria. Il titolare dell’azienda, per precauzione, aveva successivamente chiesto al Giudice la ratifica di tale atto, suscitando dapprima un provvedimento di negata autorizzazione e poi l’apertura del procedimento fallimentare ex art. 173 L.f.

Secondo una recente sentenza della Cassazione vanno considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto.”

Alla luce di tale considerazione, il Tribunale di Varese archiviava il procedimento ex art. 173 L.f., qualificando come atto di ordinaria amministrazione l’assunzione di una risorsa umana, funzionale alla miglior esecuzione dell’attività d’impresa e non integrante una variazione eccessivamente onerosa all’attuazione del piano.

In sintesi se l’attività di assunzione di un dipendente non preclude la soddisfazione dei creditori, ma costituisce un rafforzamento dell’esercizio imprenditoriale, la stessa può essere considerata come atto di ordinaria amministrazione e quindi rientrare nelle facoltà dell’imprenditore. Tutto ciò sempre tenendo conto dell’orientamento del piano di concordato, evitando l’inserimento di elementi di rischio.

Fonte: Tribunale di Varese, 19.04.2017;

Cass. civ., 15.05.2003, n. 7546