Secondo quanto stabilito dall’art. 18 lettera c) della Legge n. 247/2012, relativa alla riforma della professione forense, “la professione di avvocato è incompatibile con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione”.

 La ratio di tale previsione è quella di tutelare l’indipendenza ed autonomia della professione legale nella difesa degli interessi del cliente, la quale potrebbe essere compromessa dal perseguimento di interessi anche strettamente personali.

Tale incompatibilità, però, rimane limitata ai casi in cui il soggetto esercente la professione forense ricopra cariche con pieni poteri di gestione, escludendo di conseguenza quelle situazioni in cui lo stesso, pur rivestendo ruoli di primaria importanza, non abbia poteri di gestione dell’attività commerciale, in quanto privatone dallo statuto sociale o con successiva deliberazione.

Occorre precisare, inoltre, che tale incompatibilità non sussiste neppure nel caso in cui “l’oggetto dell’attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a totale capitale pubblico”.

Tale esimente trova fondamento nel fatto che le società personali o familiari non svolgono in concreto alcuna attività commerciale. Per quanto riguarda l’attività di enti e consorzi, invece, si ritiene opportuno che gli avvocati possano partecipare alla gestione della res pubblica.

In tal senso si è pronunciata la Cassazione, affermando che in tema di ordinamento professionale forense, il legale che ricopra la qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una società commerciale, si trova in una situazione di incompatibilità, solo qualora risulti che tale carica comporti effettivi poteri di gestione e di rappresentanza.

La partecipazione del professionista ad una società di persone, invece, appare senz’altro compatibile con l’ordinamento professionale, fintantochè queste non prevedano, nell’oggetto sociale o nell’attività di fatto, l’esercizio di attività commerciale.

Fonti:

Art. 18 L. 247/2012;

Cass.civ. n. 25797/2013.