La Corte di Cassazione, in occasione dell’ordinanza n. 9306 del 2025 in materia successoria, ha avuto modo di fornire importanti chiarimenti sulla determinazione delle quote di un’azienda spettanti agli eredi di un imprenditore venuto a mancare. In particolare, a seguito del decesso, occorre porre molta attenzione ai soggetti che concretamente proseguono la gestione dell’impresa e le modalità con cui viene svolta, al fine di determine se l’azienda cada in comunione tra i coeredi stessi.
La vicenda
In seguito alla successione per causa di morte del padre nel 1976, la gestione dell’azienda di famiglia, all’epoca costituita da un laboratorio artigianale tipografico con annessa attività commerciale di vendita di articoli di cartoleria, cerimonia e filatelia, veniva proseguita dai figli, Tizio e Sempronio, e, almeno inizialmente, anche dalla loro madre. La figlia Caia, invece, rimaneva estranea alla attività d’impresa in questione. A causa del successivo decesso della madre, Caia ricorreva al Tribunale di Brindisi, affinché quest’ultimo dichiarasse l’apertura della successione della madre, accertasse la ricomprensione nell’asse ereditario della defunta della quota di 54/126 della società di famiglia e, di conseguenza, previo rendimento dei conti, le attribuisse la somma di € 48.469,98, corrispondente alla propria quota di 18/126 dell’eredità materna. I fratelli Tizio e Sempronio si costituirono in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande avanzate dalla sorella Caia e la condanna della stessa al pagamento delle spese funerarie. Dichiarata l’apertura della successione della madre e svolta una Consulenza Tecnica d’Ufficio per determinare l’asse ereditario della defunta, il Tribunale di Brindisi ritenne pari a 54/126 la quota sull’azienda in questione ricompresa nell’eredità della madre, ripartendola quindi tra i due fratelli in parti uguali tra loro. Tizio e Sempronio, allora, impugnarono la sentenza di primo grado dinnanzi la Corte di Appello di Lecce, contestando i criteri di calcolo della quota societaria poi attribuita alla sorella Caia. In secondo grado, tuttavia, venne sostanzialmente confermato il provvedimento assunto dal Tribunale e, pertanto, i due fratelli proposero ricorso avanti la Corte di Cassazione.
La decisione
Innanzitutto, la Suprema Corte ha ricordato che un’azienda è oggetto di una comunione ereditaria solamente se essa rimane nello stato in cui è stata lasciata dal de cuius, limitandosi i coeredi a goderne in comune tra loro. Tuttavia, se l’azienda in questione viene esercitata a fine speculativo, con nuovi interventi e con nuovi utili, derivanti dal nuovo esercizio, in virtù della distinzione concettuale tra società di persone ex art. 2247 c.c. e comunione a scopo di godimento ex art. 2248 c.c. occorre distinguere due ipotesi. Nel primo caso, l’esercizio di tale impresa a fine speculativo avviene con l’accordo tra tutti i coeredi, anche in tema di nuovi incrementi o di sviluppo dei precedenti. In questa situazione, allora, secondo la Corte di Cassazione, sussistono tutti gli elementi di una vera e propria società tra i coeredi stessi, di tipo irregolare o comunque di fatto, che pone fine all’esistenza della comunione ereditaria sull’azienda. Nel secondo caso, invece, se l’esercizio dell’impresa è svolto solamente da uno e da alcuni dei coeredi, la comunione risulta limitata all’azienda così come lasciata dal de cuius e gli incrementi, personalmente apportati dal coerede o dai coeredi e compresivi di utili e perdite, devono essere imputati esclusivamente a questi ultimi soggetti. In riferimento alla vicenda sopra ricordata, il Tribunale di Brindisi aveva accertato come, già a seguito della morte del padre, l’esercizio dell’impresa familiare era stata svolta solo dai fratelli Tizio e Sempronio. In applicazione dei principi di diritto descritti, allora, la Suprema Corte ha cassato il provvedimento di secondo grado, ritenendo che la Corte di Appello avrebbe dovuto accertare se anche la madre avesse contribuito ad esercitare tale impresa insieme ai due figli, in tal caso comportando la caduta in comunione dell’azienda tra i predetti tre familiari. Solo dopo aver verificato tutto ciò, la Corte di Appello avrebbe potuto determinare il valore dell’azienda familiare al momento della divisione dell’asse ereditario della madre.
In conclusione, con l’ordinanza n. 9309 del 2025, la Corte di Cassazione ha fornito importanti precisazioni sul tema della comunione ereditaria avente ad oggetto un’azienda. Al fine di determinare correttamente la consistenza delle quote di quest’ultima spettanti agli eredi dell’imprenditore, infatti, risulta essenziale verificare se e come gli stessi abbiamo continuato l’esercizio dell’impresa in seguito alla successione del defunto.
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