Danno da fauna selvatica: chi risponde in caso di investimento?

La Corte di Cassazione, con un’interessante e recentissima pronuncia, la n. 12714 del 9 maggio 2024, afferma che, in caso di investimento di un animale selvatico su una strada pubblica, la Regione è tenuta al risarcimento del danno laddove non provi il caso fortuito consistente l’imprevedibilità dell’attraversamento della strada da parte dell’animale (Cassazione n. 12714/2024).

La normativa di riferimento

L’art. 2052 del Codice Civile prevede che: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

In forza di tale disposizione, in caso di investimento di fauna selvatica il danneggiato, al fine di ottentere il risarcimento del danno, dovrà dimostrare esclusivamente la sussistenza del danno e del nesso eziologico tra l’evento dannoso e il comportamento dell’animale. Infatti, in capo al proprietario dell’animale o al custode sussiste una presunzione di responsabilità, motivo per cui egli risponde sempre dei danni cagionati dall’animale, salvo che provi il caso fortuito.

In realtà, l’applicazione della disposizione appena richiamata all’ipotesi del danno cagionato da fauna selvatica è il frutto di un recente orientamento giurisprudenziale, inaugurato a partire da Corte Cost. 4/2001.

Prima di tale importantissima pronuncia la giurisprudenza riteneva che il danno cagionato dalla fauna selvatica fosse risarcibile soltanto in base ai principi generali sanciti dall’art. 2043 del Codice Civile, di conseguenza, il danneggiato che agiva in giudizio al fine di ottenere il ristoro del pregiudizio patito doveva dimostrare, oltre al danno e al nesso eziologico, un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico, sussistendo in capo al danneggiato un onere probatorio assai più gravoso rispetto a quello previsto dall’art. 2052 c.c.

La questione della legittimazione passiva

In passato, gli animali appartenenti alla fauna selvatica erano considerati alla stregua di res nullius (propr. “cosa di nessuno”) e da ciò derivava l’impossibilità del ristoro dei pregiudizi da questi cagionati.

Fortunatamente, a partire dalla legge 968/1977 il Legislatore ha stabilito che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato.

Di conseguenza, a seguito dell’intervento normativo la giurisprudenza (sebbene con orientamento non sempre costante in passato) ha poi riconosciuto, in caso di danno provocato da fauna selvatica su una strada pubblica, la legittimazione passiva in capo alla Regione, in quanto ente titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione del territorio, anche in ipotesi di delega alla Provincia.

L’onere della prova

Come confermato da Cassazione n. 12714/2024, in caso di danno provocato da fauna selvatica su una strada pubblica, il danneggiato, per poter ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2052 c.c., deve allegare e dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall’animale selvatico, provando la dinamica del sinistro, il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie protette o che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

Invece, il danneggiante deve allegare la prova liberatoria, ossia il caso fortuito, come l’imprevedibilità determinata dal fatto che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di controllo, operando come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno.

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