Il 9 dicembre 2019, il Tribunale di Milano ha accolto la domanda di risarcimento dell’ex calciatore argentino, condannando Dolce & Gabbana a risarcire quest’ultimo. In particolare dettando una linea precisa in merito alla pubblicità occulta e al merchandasing abusivo.

La vicenda trova origine da un evento tenutosi a Napoli nel 2016, nel quale gli stilisti hanno fatto sfilare una modella con una maglietta azzurra, simile a quella del Napoli, riportando il numero “10” ed il nome di “Maradona”, senza aver preliminarmente chiesto il consenso al noto ex calciatore. Venivano così citati in giudizio, perdendo in primo grado, in quanto “non corrisponde alle regole di mercato trarre vantaggio dallo sfruttamento parassitario dell’altrui notorietà”: l’utilizzo del nome di Maradona non può essere consentito a terzi imprenditori senza il consenso dell’avente diritto. La sentenza va dritta al cuore del problema, precisando infatti che l’uso del nome di Maradona era esplicitamente finalizzato ad appropriarsi, nella collezione di D&G, proprio di quelle componenti attrattive insite nel richiamo alla prestigiosa storia sportiva del mitico calciatore”, dal momento che il puro nome di Diego veicola particolari suggestioni di fascino storico e di eccellenza calcistica.

L’art. 7 c.c. tutela il diritto al nome, il quale recita: “La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni”.

L’art. 10 c.c. tutela il diritto all’immagine, recitando che “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”: pertanto, sorge un danno patrimoniale laddove venga pubblicata senza autorizzazione l’immagine altrui.

Se, però, l’immagine riprodotta appartiene ad un soggetto noto, occorre provare che questo sia in grado di trarre vantaggio dall’utilizzo della propria immagine: l’uso non autorizzato da parte dei terzi dell’immagine, infatti, deve determinare in capo al soggetto noto, un danno qualificato come lucro cessante.

La qualificazione in senso patrimoniale del diritto all’immagine ha portato alla diffusione di veri e propri accordi finalizzati allo sfruttamento commerciale del nome e dell’immagine di persone celebri.

È il fenomeno del marchandasing dei marchi, direttamente connesso alla questione affrontata dalla Corte: è il contratto attraverso il quale il titolare di un segno distintivo cede ad un altro imprenditore il diritto alla sua utilizzazione per contrassegnare prodotti o caratterizzare servizi in un settore diversorispetto a quello in cui il segno ha assunto notorietà, al fine di trarre un vantaggio economico, generalmente realizzato tramite la previsione di una percentuale sui guadagni del licenziatario (royalty). Solo il titolare del marchio può cedere ad un diverso imprenditore il diritto di utilizzare lo stesso per prodotti e/o servizi diversi da quello noto.

Nonostante la diffusione, esso non ha una disciplina specifica nel nostro ordinamento: pertanto, viene regolato sulla base della prassi commerciale e delle norme che regolano contratti simili.

 

Tribunale di Milano, 10 dicembre 2019.