La responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c.: natura contrattuale o extracontrattuale?

L’art. 1669 c.c., rubricato “rovina e difetti di cose immobili”, così recita: «Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia».

Come si evince dalla lettera della norma, la responsabilità del costruttore è estesa non solo nei confronti del committente, in forza del contratto di appalto, ma anche agli aventi causa di quest’ultimo.

Proprio da tale disposizione, vale a dire dalla responsabilità nei confronti degli aventi causa, ha avuto origine la vexata quaestio in ordine alla natura giuridica della responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c.

La questione dibattuta

Per un primo orientamento, la responsabilità dell’appaltatore avrebbe natura extracontrattuale e troverebbe il suo titolo nella violazione del precetto generale del neminem laedere, in forza del quale tutti i consociati sono tenuti a non ledere la sfera giuridica altrui.

Tale responsabilità, sorgendo in capo all’appaltatore per il solo fatto di aver costruito l’immobile, può essere fatta valere non solo dal committente e dai suoi aventi causa ma anche da qualsiasi terzo danneggiato dalla rovina dell’edificio.

Per i sostenitori di tale tesi la ratio legis della disposizione è da ravvisarsi in ragioni di ordine pubblico, in particolare, nell’interesse alla conservazione e alla funzionalità degli edifici, così pregnante da prevalere sugli interessi delle parti contraenti (Cass. 7634/2006).

Per un secondo orientamento, invece, la responsabilità dell’appaltatore avrebbe natura contrattuale (traendo origine dal contratto d’appalto), dovendosi ravvisare la particolarità della norma nel fatto che la tutela è estesa anche agli aventi causa.

Di conseguenza, la ratio legis della disposizione in esame è da individuarsi nell’esigenza di tutela del committente tramite il prolungamento della responsabilità dell’appaltatore: l’azione ex art. 1669 c.c., infatti, prevede un termine di prescrizione di dieci anni dal compimento dell’opera, ben più lungo rispetto a quello biennale previsto per l’azione contro i vizi e le difformità ex artt. 1667 e 1668 c.c.

In giurisprudenza, inoltre, assai dibattuta era la collegata questione dell’applicabilità, in via residuale, dell’art. 2043 c.c.

La decisione

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 3 febbraio 2014, n. 2284 ha risolto definitivamente la querelle, aderendo al primo orientamento ut supra illustrato.

Secondo la Suprema Corte, la previsione dell’art. 1669 c.c. concreta un’ipotesi di responsabilità speciale rispetto a quella generale ex art. 2043 c.c., che scaturisce dal contratto di appalto ma ne valica i confini, essendo riconducibile alla violazione delle norme di ordine pubblico stabilite a salvaguardia  «dell’interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell’attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l’incolumità delle persone».

Posto che l’art. 1669 c.c. risponde all’esigenza di tutelare i soggetti danneggiati dalla rovina o dai gravi difetti di un edificio, ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso del danno prodottosi e manifestatosi oltre il decennio dalla realizzazione dell’opera), può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c.

In altre parole, tra le due azioni risarcitorie sussiste un rapporto di specialità tale per cui, in forza del principio lex specialis derogat lex generalis, chi agisce in giudizio contro l’appaltatore dovrà convenirlo in giudizio ai sensi dell’art. 1669 c.c. (norma speciale) laddove sussistano le condizioni per l’applicazione di tale disposizione; in mancanza, potrà comunque esperire l’azione ex art. 2043 c.c. (norma generale).

Fermo restando che le due azioni sono contraddistinte da un diverso regime probatorio: nel primo caso (1669 c.c.) opera una presunzione di responsabilità iuris tantum in capo all’appaltatore, mentre nel secondo (2043 c.c.) spetterà al soggetto danneggiato provare la colpa dell’appaltatore.