LA REVOCA DELL’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE

La Cassazione Civile, Sez. I, con l’ordinanza n. 10453 del 31 marzo 2022, ha stabilito che, laddove i figli non conservino più un collegamento attuale ed effettivo con la casa familiare, sia legittimo in sede di divorzio revocare l’assegnazione della casa familiare al genitore collocatario.

IL CASO.

Con la pronuncia di divorzio il Giudice di prime cure assegnava la casa familiare, di proprietà dell’ex marito Tizio, all’ex moglie Caia, in quanto la medesima veniva individuata come genitore collocatario cui affidare la prole in via principale.

Successivamente, tuttavia, l’ex marito Tizio chiedeva ed otteneva la revoca dell’assegnazione della casa familiare alla moglie sul presupposto che la medesima ed il figlio minore  risiedessero ormai stabilmente in una diversa città.

L’ex moglie Caia proponeva appello deducendo di voler far ritorno nella città d’origine e documentando la frequenza scolastica del figlio in quella stessa città. La stessa, pertanto, chiedeva la riassegnazione dell’immobile per sé e per il figlio.

La Corte d’Appello rigettava la domanda e l’ex moglie dunque ricorreva in Cassazione.

LA DECISIONE.

 La Suprema Corte non fa che confermare quanto già espresso dalla giurisprudenza di legittimità: l’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge affidatario (art. 6 co. 6 della L. n. 898/1970) risponde all’esigenza, costituzionalmente garantita, di conservare al meglio l’habitat domestico, inteso come “il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare”. In materia di separazione e di divorzio, l’assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente alla tutela della prole e dell’interesse di questa a rimanere nell’ambiente casalingo in cui è cresciuta, mentre non ha funzione di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole.

Ne consegue che, ove la casa familiare non funga più da abitazione principale per il minore in quanto questi vive altrove, sia ammessa giudizialmente la revoca dell’assegnazione dell’immobile (immobile che dunque ritorna nella piena disponibilità del suo proprietario). Il presupposto per la concessione della revoca è che la casa familiare non costituisca più l’ambiente domestico quotidiano della famiglia collocataria e che essa non serva più come luogo di riferimento e di sostegno per una crescita sana della prole.

Nel caso di specie, ad avviso della Corte, la possibilità di ritrasferimento nella città d’origine paventata dalla madre non è circostanza tale da cancellare l’irreversibilità dello sradicamento del minore dall’abitazione oggetto di controversia. Ai fini della revoca, infatti, vanno valutati diversi elementi probatori, quali la frequenza di più anni di scuola in un istituto collocato in un’altra città, lo svolgimento da parte del genitore assegnatario di un’attività lavorativa altrove e la frequentazione solo saltuaria e per brevi periodi della ex casa coniugale. Comprovati questi vari elementi, neppure la successiva decisione del genitore assegnatario di fare ritorno nell’immobile precedentemente adibito a casa familiare può comportare la reviviscenza del diritto all’assegnazione.