
La Corte di Cassazione, in occasione della sentenza n. 32996 del 2024, ha colmato il vuoto normativo riguardante le sorti di un accordo di ristrutturazione, concluso tra creditore e debitore ed omologato prima dell’intervento della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (dichiarazione di fallimento prima dell’entrata in vigore del C.C.I.I.) del medesimo debitore.
Una volta precisati gli effetti di tale circostanza, infatti, la Corte ha specificato come procedere alla quantificazione del credito ammissibile al passivo, riconoscendo la spettanza al creditore istante dell’importo dovuto dal debitore prima della conclusione dell’accordo di ristrutturazione, detratte eventuali somme nel frattempo versate in virtù di quest’ultimo accordo e non più revocabili.
La vicenda
La società Alfa, in condizioni di difficoltà economica, risultava debitrice nei confronti della società Beta per Euro 1.440.270,41. Grazie ad un accordo di ristrutturazione concluso con la questa seconda società (e con altre), poi omologato, veniva accettata l’offerta della società Alfa di corrispondere alla predetta creditrice l’importo di Euro 144.027,00.
Successivamente, però, veniva dichiarato il fallimento (oggi apertura della liquidazione giudiziale) della società Alfa e, durante la relativa procedura concorsuale, il giudice delegato ammetteva al passivo il credito vantato dalla società Beta per il minor importo risultante dall’accordo di ristrutturazione, ritenendo quest’ultimo, di carattere remissorio, ancora vincolante fra le parti, perché l’istante non risultava averne mai chiesto la risoluzione. La società Beta, allora, presentava opposizione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo, al fine di accertare l’avvenuta risoluzione dell’accordo di ristrutturazione. Il Tribunale Ordinario di Napoli, però, rigettava tale opposizione, quindi, contro questa decisione, la società Beta presentava ricorso alla Corte di Cassazione.
La decisione
Dapprima, la Suprema Corte ha ricordato la disciplina dell’accordo di ristrutturazione, secondo la quale non è prevista espressamente la possibilità di dichiararlo risolto per inadempimento, ma ha ritenuto di non potersi supplire a tale vuoto normativo applicando in via analogica quanto stabilito per il concordato, per ragioni di incompatibilità e di diversità di ratio delle normative in questione.
Poi, la medesima Corte ha considerato che la dichiarazione di fallimento (oggi di apertura della liquidazione giudiziale) priva il debitore della disponibilità dei suoi beni e comporta l’inefficacia dei pagamenti dallo stesso eseguiti, rendendo quindi irrealizzabile il risanamento della condizione di crisi, perseguita con la conclusione e l’omologa di un accordo di ristrutturazione e che ne rappresenta giuridicamente la causa contrattuale.
La Corte di Cassazione, allora, ha riconosciuto che la dichiarazione di fallimento (oggi di apertura della liquidazione giudiziale), successiva all’omologazione di un accordo di ristrutturazione, comporta la risoluzione di diritto di tale accordo, per impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 c.c., e quindi la riespansione dell’originaria obbligazione, da ammettere al passivo del fallimento (oggi della liquidazione giudiziale) nel suo iniziale ammontare, dedotti eventuali pagamenti intervenuti e non più revocabili.
In pratica, non è necessario che il creditore, aderente all’accordo di ristrutturazione, agisca in giudizio per ottenerne la risoluzione ex art. 1453 e seguenti c.c.. In virtù di queste statuizioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando provvedimento del Tribunale Ordinario di Napoli, che aveva rigettato l’opposizione della società Beta avverso il decreto di definitività dello stato passivo. Il giudice di primo grado, infatti, dovrà valutare nuovamente il credito da ammettere al passivo a favore della società Beta, quale risultante prima dell’adesione e dell’omologa dell’accordo di ristrutturazione concluso con la società Alfa, detratti eventuali somme corrisposte da quest’ultima in attuazione di tale accordo e non più revocabili.
In conclusione, con la sentenza n. 32996 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti in relazione all’ammontare del credito ammissibile al passivo durante una procedura di fallimento (oggi liquidazione giudiziale), nel caso in cui il creditore istante ed il debitore abbiano concluso un accordo di ristrutturazione, omologato in data precedente a quella in cui è stato dichiarato il fallimento (oggi l’apertura della liquidazione giudiziale). A tal fine, infatti, risulta essenziale verificare gli effetti dell’apertura della procedura concorsuale in questione rispetto al precedente accordo di ristrutturazione, poiché sono in grado di incidere in maniera rilevante sulla quantificazione del credito spettante allo stesso creditore in sede di ammissione al passivo.
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