Nella disciplina delle società di capitali vige il principio della libera circolazione delle azioni/quote volto a garantire il cd. diritto al disinvestimento.
Le clausole di prelazione pongono un limite alla circolazione delle partecipazioni sociali, in deroga al generale principio della libera trasferibilità delle quote, imponendo al socio che intenda alienare la propria partecipazione l’obbligo di offrirla in prima battuta agli altri soci e di preferirli ai terzi interessati.
Si parla di prelazione “propria” quando i soci, che abbiano interesse ad accrescere la propria quota di partecipazione o semplicemente a non far subentrare terzi estranei nella compagine sociale, possono esercitare il proprio diritto dichiarando di voler acquistare le quote del socio uscente alle stesse condizioni offerte dal terzo.
Si parla, invece, di prelazione “impropria” quando i soci, che abbiano interesse ad accrescere la propria quota di partecipazione o semplicemente a non far subentrare terzi estranei nella compagine sociale, possono esercitare il proprio diritto di prelazione dichiarando di voler acquistare per un corrispettivo qualitativamente e/o quantitativamente diverso da quello che il socio avrebbe potuto ottenere dal potenziale acquirente.
In particolare, con le clausole di prelazione impropria è possibile prevedere la possibilità per i soci titolari del diritto di prelazione di contestare il corrispettivo offerto dal socio che intendere cedere la partecipazione e di far determinare il prezzo della cessione da un terzo arbitratore, sulla base dei criteri di stima espressamente indicati nello statuto.
Aspetti e limiti della prelazione impropria nelle s.r.l.
Come statuito dal Consiglio del Notariato di Milano nella massima n. 85 del 15 novembre 2005 e come confermato nello Studio n. 158-2012/I del Consiglio Nazionale del Notariato, le clausole di prelazione impropria, diffusissime nella pratica, sono da ritenersi comprese in quelle “particolari condizioni” a cui può essere subordinato il trasferimento di partecipazioni sociali nelle s.r.l. ai sensi dell’art. 2469 c.c. e, pertanto, sono valide, laddove il periodo di efficacia delle stesse non sia superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione.
Nella massima n. 85 del 2005 il Consiglio Nazionale del Notariato specifica che, qualora a tali clausole non sia apposto un limite temporale ovvero sia previsto un limite temporale più ampio dei due anni, occorre valutare l’incidenza del vincolo derivante dalla clausola di prelazione impropria sulla posizione del socio che intenda cedere la propria partecipazione. Se il meccanismo di determinazione del valore della partecipazione indicato nello statuto porta a calcolare un prezzo di cessione significativamente inferiore a quello che si sarebbe determinato nell’ipotesi di recesso ai sensi dell’art. 2473, comma 3, c.c. viene riconosciuto al socio s.r.l. il diritto di recesso.
In particolare, ai sensi dell’art. 2473, comma 3, c.c.: “I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’articolo 1349”.
Specifica il Consiglio Nazionale del Notariato nello Studio n. 158-2012/I che, se nel limite di due anni è consentita qualsiasi compressione alla libertà di disinvestimento del socio, oltre tale limite l’interesse della compagine sociale a chiudersi deve contemperarsi con l’interesse del singolo a disinvestire al valore di mercato o quantomeno ad un valore non inferiore a quello previsto in caso di recesso.
Diversamente, si rischia di rimette alla discrezionalità degli altri soci la facoltà di porre, al socio che intenda cedere, l’alternativa tra “non cedere” o cedere a “prezzo vile”.
Una clausola di prelazione impropria che fissasse il prezzo di cessione agli altri soci con criteri penalizzanti per il cedente sarebbe prossima, come risultato, ad una clausola di intrasferibilità o di gradimento mero.
Per tale motivo, conclude il Notariato, le clausole di prelazione impropria in cui non sia previsto il periodo di efficacia ovvero tale periodo sia superiore ai due anni e in cui il meccanismo di determinazione del prezzo di cessione previsto nello statuto porti a risultati significativamente inferiori al valore di mercato e/o al “prezzo del recesso” di cui all’art. 2473, comma 3, c.c. attribuiscono ex lege al socio che intende cedere la propria partecipazione il diritto di recesso.
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