L’art. 41 della Costituzione afferma che l’iniziativa economica privata è libera. La stessa, inoltre, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana.
Secondo tale fondamentale principio, i privati sono liberi di svolgere un’attività imprenditoriale, al fine di realizzare un profitto economico. Tale attività, però, non può identificarsi con l’interesse esclusivo dell’imprenditore ma deve, anche indirettamente, realizzare interessi della società nel suo complesso.Proprio in forza di tale norma la Cassazione ha rivoluzionato, con una recentissima sentenza, il principio del favor lavoratoris, radicato da tempo nell’ordinamento italiano, riconoscendo per la prima volta la legittimità del licenziamento per mero profitto.

D’ora in poi il licenziamento sarà giustificato non solo se necessario per affrontare una crisi economica che metta a dura prova l’andamento dell’azienda, bensì anche per una migliore e più efficiente organizzazione produttiva ovvero per la ricerca di una maggiore redditività e profitto della stessa.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quindi, non sarà più l’extrema ratio, ma una delle possibili scelte dell’imprenditore.

Il Giudice del lavoro, in tali casi, dovrà solamente verificare in concreto l’esistenza delle ragioni dedotte dall’azienda ed il nesso di causalità tra le stesse ed il licenziamento di un particolare dipendente.

Tale pronuncia è intervenuta nel caso di un dipendente, licenziato dall’azienda in cui lavorava per giustificato motivo oggettivo, motivato dall’esigenza tecnica di rendere più snella la “catena di comando” e quindi la gestione aziendale.
Nonostante la Corte d’Appello avesse dichiarato illegittimo il provvedimento, in quanto non motivato dalla necessità economica e dalla presenza di eventi sfavorevoli, bensì soltanto dalla riduzione dei costi e dal mero incremento di profitto, la Cassazione dichiarò risolto il rapporto di lavoro e condannò l’azienda a corrispondere al lavoratore 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Fonte:
Cass.civ., sez. lavoro, n. 25201/2016