Con la sentenza n. 24014 del 12/10/2017, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti in materia di licenziamento del lavoratore per giusta causa, affermando che il furto commesso dal lavoratore di beni aziendali di lieve entità costituisce una condotta tale da integrare la giusta causa di licenziamento del lavoratore medesimo.
La disciplina codicistica
Nel caso di specie la disposizione normativa rilevante è rappresentata dall’art. 2119 c.c., relativo al recesso per giusta causa, il quale dispone al comma 1 che “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente”. Pertanto, in caso di licenziamento del lavoratore per giusta causa, tale giusta causa deve consistere in una motivazione tale da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto lavorativo.
Il caso di specie e la pronuncia di primo grado
Nel caso di specie Tizio, lavoratore dipendente presso la società Alfa, veniva licenziato per giusta causa in seguito al furto di una serie di beni aziendali di modica entità: nello specifico, scattato l’allarme antitaccheggio al momento del suo passaggio nella portineria del supermercato dove prestava servizio, Tizio veniva trovato in possesso di una serie di beni aziendali del valore complessivo di Euro 9,80. Successivamente, la società Alfa procedeva al licenziamento di Tizio per giusta causa. Quest’ultimo decideva quindi di impugnare il licenziamento avanti il Tribunale ordinario di Napoli, lamentando l’illegittimità del licenziamento disposto nei suoi confronti. Il Tribunale di Napoli respingeva il ricorso di Tizio, ritenendo legittimo il licenziamento a fronte della condotta posta in essere da quest’ultimo.
La pronuncia della Corte d’Appello
Successivamente, Tizio impugnava la sentenza di primo grado avanti la Corte d’Appello di Napoli, la quale confermava la sentenza del Tribunale, ritenendo che la gravità della condotta posta in essere da Tizio nonché la proporzione della sanzione espulsiva non potevano ritenersi escluse dal valore esiguo dei beni sottratti. In aggiunta, la Corte d’Appello rilevava che l’inesistenza di precedenti disciplinari non costituiva elemento sufficiente per escludere la lesione del vincolo fiduciario in ragione della oggettiva gravità del comportamento e dell’elemento soggettivo, rappresentato dalla violazione dei doveri fondamentali incombenti sul lavoratore.
La pronuncia della Cassazione
In seguito, Tizio impugnava la sentenza della Corte d’Appello avanti la Corte di Cassazione, sostenendo l’erronea applicazione dell’art. 2119 c.c. da parte della Corte d’Appello. Tizio affermava infatti che nel formulare il giudizio di gravità della condotta addebitata e quello di proporzionalità della sanzione espulsiva, la Corte d’Appello non avrebbe considerato l’esiguità del valore dei beni sottratti, pari ad Euro 9,80. La Corte di Cassazione ha innanzitutto rilevato che al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, in quanto anche un comportamento di natura colposa può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto lavorativo. La Corte ha poi affermato che, con riguardo al caso di specie poteva affermarsi “che i fatti addebitati rivestono il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e dell’elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente risulta idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento”. La Suprema Corte ha pertanto ritenuto che la condotta posta in essere da Tizio dovesse considerarsi idonea ad incidere in maniera grave ed irreversibile sull’elemento fiduciario, nonostante la modesta entità dei beni sottratti, integrando pertanto una giusta causa di licenziamento. In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo legittimo il licenziamento per giusta causa di Tizio a fronte del furto, commesso dal medesimo, di beni aziendali di modica entità.
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