Sofferenza parametrata al danno non patrimoniale. No alla personalizzazione del danno

 

La Cassazione riconosce la sofferenza ma nei limiti del danno non patrimoniale, disconoscendo le aggiunte ulteriori a titolo di personalizzazione del danno dovendo, altresì, queste essere fornite di prova” (Cass. Civ., Sez. III, n. 25164/2020).

Il caso.

La sentenza in commento ha origine dalla pretesa di risarcimento danni dell’attore nei confronti di una società di assicurazioni, quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, in seguito all’incidente occorso allo stesso per il tramite di un autoveicolo rubato il cui conducente non potè essere identificato.

In seguito al rigetto della domanda da parte del Tribunale, la stessa fu, viceversa, accolta dalla Corte d’Appello, la quale riconosceva all’attore un cospicuo risarcimento in applicazione delle tabelle milanesi.

Questione dibattuta.

In particolare, la società di assicurazioni lamenta che la Corte d’Appello abbia accordato alla vittima la cosidetta personalizzazione del risarcimento del danno alla salute in assenza di qualsiasi circostanza di fatto che la giustificasse e in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.

Nello specifico, infatti, il giudice di secondo grado ha aumentato l’importo riconosciuto per invalidità permanente del 25 %, a titolo di personalizzazione del danno, sul presupposto dell’“indubbia impossibilità (per la vittima) di cimentarsi in attività fisiche”; infine, ha accordato all’attore un’ulteriore somma a titolo di danno morale, ritenendo che “le sofferenze di natura del tutto interiore e non relazionale” fossero “meritevoli di un compenso aggiuntivo (…) al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi, valutate le circostanze del caso e l’indubbia sofferenza derivata”.

 

Decisione.

La Suprema Corte, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso proposto dalla società di assicurazioni, sostenendo, nello specifico, che “la personalizzazione” del risarcimento del danno alla salute consiste in una variazione in aumento (in altre ipotesi in diminuzione) del valore standard del risarcimento, tenendo conto delle specificità del caso concreto; ovvero, su specifici aspetti dinamico – relazionali. Questi ultimi devono consistere, secondo il più recente insegnamento di questo giudice di legittimità, in circostanze eccezionali e specifiche, sicché non può essere accordata alcuna variazione in aumento del risarcimento standard previsto dalle “tabelle milanesi” per tenere conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, trattandosi di conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno.

In altri termini la personalizzazione del danno deve trovare giustificazione nel positivo accertamento di conseguenze eccezionali, ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione e non può quindi costituire lo strumento per ovviare alla carenza di prova in punto di danno alla capacità lavorativa, in quanto la stessa è già ricompresa nell’ambito delle conseguenze ordinarie del danno alla salute.

In merito all’impossibilità di compiere determinati atti fisici a causa dell’invalidità residuata al sinistro, la Suprema Corte ha ribadito che tale pregiudizio costituisce il fondamento del danno biologico standard, pertanto, nel nostro caso, lo stesso è stato liquidato erroneamente due volte dalla Corte d’Appello, ossia, primariamente a titolo di danno alla salute e, successivamente a titolo di personalizzazione in assenza dell’indicazione di circostanze specifiche ed eccezionali.