La Cassazione Civile, Sez. II, con l’ordinanza n. 17571 del 31 maggio 2022ha stabilito che, qualora le parti abbiano subordinato gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga un mutuo per il pagamento del prezzo, e tale evento non si realizzi, non rileva quanto stabilito dall’art. 1359 c.c., ma quanto pattuito dalle parti: nel caso di specie la risoluzione del contratto.

IL CASO.

Tizio, promissario acquirente, citava avanti al Tribunale di Roma Caio, in qualità di promittente venditore, al fine di ottenere la dichiarazione giudiziale di intervenuta risoluzione del contratto preliminare di compravendita concluso tra le parti, contestando il verificarsi della condizione risolutiva di cui all’art. 7 del suddetto contratto, stante la mancata concessione del mutuo da parte della Banca di Roma per irregolarità urbanistiche dell’immobile oggetto del contratto, e chiedendo altresì la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria.

Il giudice di prime cure rigettava le domande attoree, sicchè Tizio depositava appello avverso la sentenza di primo grado.

La Corte d’Appello di Roma accoglieva l’appello e riformava il provvedimento impugnato: la sentenza d’appello dichiarava risolto il contratto preliminare in virtù dell’avveramento della condizione risolutiva di cui all’art. 7 e condannava Caio alla restituzione della caparra versata al momento della stipula.

Caio (promissario venditore) depositava ricorso alla Corte di Cassazione, la quale rigettava i motivi e confermava la sentenza d’appello.

LE MOTIVAZIONI E LA DECISIONE DELLA CORTE.

La Corte d’Appello capitolina ha ritenuto avverata la condizione risolutiva di cui all’art. 7 del preliminare, secondo cui “Le parti di comune accordo stabiliscono fin d’ora che nel caso in cui l’istituto bancario scelto dalla parte promissaria acquirente non conceda il finanziamento per cause inerenti la mancata regolarità urbanistica-catastale dell’immobile il presente preliminare di compravendita verrà risolto, contestualmente la parte promittente venditrice restituirà le somme versate alla parte promissaria acquirente”. La Corte, cioè, ha qualificato tale clausola come condizione risolutiva.

Il ricorrente invece sosteneva che tale clausola andava qualificata come “condizione mista”; sicchè, nel valutare l’avveramento, il giudice avrebbe dovuto verificare sia l’intervenuto diniego del mutuo da parte della banca sia il comportamento complessivo tenuto da Tizio (promissario acquirente) per ottenere il finanziamento, con conseguente applicazione dell’art. 1359 c.c. il quale stabilisce che “la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”.

La Corte di Cassazione così ha deciso: la clausola de quo integra un’ipotesi di condizione risolutiva potestativa di natura mista e bilaterale, in quanto “il suo avveramento dipendeva non solo dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la pratica, ma anche del terzo istituto bancario nel concedere il mutuo, oltre che ovviamente della promittente venditrice, che doveva predisporre tempestivamente la documentazione al completo da consegnare alla banca onde garantire la regolarità urbanistica dell’immobile, per cui trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 1358 c.c.”.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, è “altresì pacifico che la mancata erogazione del prestito comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perchè questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all’avveramento della condizione (c.d. condizione bilaterale), sia perchè l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista (Cass. n. 22046 del 2018; Cass. n. 10074 del 1996)”.