La controversia oggetto della recente ordinanza n. 19833/2024 della Corte di Cassazione ha riguardato la risoluzione di un preliminare di vendita del 51% delle quote di una società Beta S.r.l., la cui attività era svolta in un immobile vincolato per effetto di contributi e finanziamenti regionali. Di seguito una sintesi dei fatti e delle ragioni giuridiche alla base della decisione.
La vicenda
Il caso nasce dalla domanda di risoluzione per inadempimento proposta dalla società Alfa S.r.l. nei confronti dei soci della società Beta S.r.l., a seguito della sottoscrizione di un contratto preliminare di vendita del 51% delle quote societarie della seconda.
La società Alfa S.r.l. lamentava di non essere stata informata dai promittenti venditori in merio alla presenza di vincoli di destinazione e trasferibilità a terzi imposti sull’immobile di proprietà della società e derivanti da contributi e crediti agevolati regionali. Questi vincoli, di fatto, limitavano l’uso dell’immobile a specifiche attività e ne impedivano il trasferimento senza la preventiva autorizzazione della Regione.
Il Tribunale aveva respinto le domande della società Alfa S.r.l. ritenendo che i vincoli, pur non esplicitati nel preliminare, non fossero inerenti all’oggetto della vendita ossia alle quote.
La Corte d’Appello, ribaltando la decisione di primo grado, aveva dichiarato la risoluzione del preliminare per grave inadempimento dei soci promittenti venditori, i quali venivano ritenuti responsabili ex art. 1497 c.c. per non aver informato la società Alfa S.r.l. dei vincoli relativi all’immobile. Avverso tale sentenza, i soci della società Beta S.r.l. presentavano ricorso alla Corte di Cassazione.
La decisione
La Suprema Corte ha confermato l’impostazione della Corte d’Appello, sulla base di un’attenta interpretazione dell’oggetto del contratto in questione.
Infatti, richiamando l’indirizzo maggioritario in tema di cessione di azioni o di quote di una società per capitali, secondo cui l’oggetto immediato di tale negozio è la partecipazione sociale mentre la quota parte del patrimonio sociale, rappresentato da quella partecipazione, è solo l’oggetto mediato, la Corte di Cassazione ha sostenuto che i vizi dell’immobile influiscono sul valore delle quote societarie solo quando vi siano specifiche garanzie contrattuali in merito.
Il giudice ha poi richiamato l’orientamento minoritario che considera le azioni e le quote di una società di capitali come “beni di secondo grado”, non del tutto distinti dal patrimonio sociale, e ha ribadito l’importanza del principio di buona fede nei rapporti contrattuali, dal quale ne è applicazione la possibilità di esperire azioni a tutela dell’effettivo valore della partecipazione sociale.
Il limite al loro esercizio, però, è rappresentato dal verificarsi di un’effettiva incidenza sul valore delle azioni o delle quote, in quanto oggetto immediato della cessione, determinata dalla differenza tra la concreta consistenza del patrimonio sociale rispetto a quella dichiarata contrattualmente.
In questa situazione, infatti, i beni sociali possono non essere più in grado di soddisfare i bisogni dell’acquirente, in quanto qualitativamente e/o quantitativamente diversi rispetto alla pattuizione.
In assenza di informazioni chiare e trasparenti da parte dei soci, la Alfa S.r.l. aveva legittimamente fatto affidamento sulla consistenza del patrimonio sociale dichiarato, risultata poi significativamente alterata dai vincoli non comunicati da parte dei soci della società Beta S.r.l..
Conclusioni
La decisione sottolinea la rilevanza delle informazioni precontrattuali e delle garanzie espresse o implicite nel contratto. Se queste vengono disattese, l’acquirente delle quote ha diritto a tutelarsi richiedendo la risoluzione del contratto, in applicazione dei principi generali del diritto civile volti a proteggere l’affidamento del contraente sulla qualità e sul valore del bene oggetto del negozio.
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