Sui vizi e difformità nel contratto di appalto

Come noto, con il contratto di appalto un soggetto, detto appaltatore, si obbliga nei confronti di un altro soggetto, detto committente, a compiere una determinata opera o servizio a fronte di un corrispettivo, in denaro, tramite propria organizzazione di mezzi e con gestione del rischio a proprio carico: nel caso in cui l’opera realizzata sia difforme rispetto al progetto concordato con il committente o sia affetto da vizi, l’appaltatore risulterà essere inadempiente. L’art. 1667 stabilisce che l’appaltatore è tenuto alla garanzia per difformità e vizi dell’opera; per permettere al committente di poter beneficiare di tale garanzia, tali vizi dovranno essere dichiarati entro sessanta giorni dalla scoperta.

La Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità dell’appaltatore in caso di difformità e dei vizi dell’opera.

Il caso

Una S.R.L. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, una S.N.C. affinché venisse dichiarata la risoluzione giudiziale del contratto di appalto per grave inadempimento della convenuta, con conseguente condanna al risarcimento dei danni, ai sensi degli artt. 1218 e 1667. La parte attrice contestava alla convenuta l’inadempimento del suddetto contratto per non aver eseguito a regola d’arte il rifacimento del manto di quattro campi da tennis che erano rimasti impraticabili anche per giorni, con la conseguente produzione di danni patrimoniali e non, oltre ad essere stati consegnati in ritardo. La parte convenuta, costituita in giudizio, formulava domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’inadempimento della parte attrice e il correlato pagamento della somma a titolo di corrispettivo. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda principale, condannando la convenuta al risarcimento dei danni in favore della società attrice, previa compensazione con la somma ancora dovuta dalla stessa per i lavori eseguiti dalla convenuta.

Avendo la soccombente proposto appello, la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame principale e, in riforma dell’impugnata pronuncia, dichiarava l’insussistenza dell’inadempimento dell’appellante, rilevando la fondatezza della domanda riconvenzionale proposta in primo grado.

 La decisione

 La Suprema Corte prende le mosse dalla constatazione che nel contratto di appalto di un’opera la legge non dispone a carico di quale parte gravi l’obbligo della redazione del progetto, con la conseguenza che assumono valenza decisiva le specifiche pattuizioni negoziali che possono, perciò, «essere basate anche su un preventivo predisposto dall’appaltatore – con la specifica indicazione dei lavori da eseguire – che sia incondizionatamente accettato dal committente, così dandosi luogo alla formazione di un valido ed efficace accordo contrattuale» (Cass. civ., n. 5734/2019).

Pertanto, prosegue la Corte, l’appaltatore può rispondere delle difformità e dei vizi dell’opera soltanto se essi concernano le prestazioni specificamente previste nel contratto di appalto, «da ritenersi perciò corrispondenti alle istruzioni e alle aspettative del committenteil quale, se volesse inserire ulteriori interventi nel contratto di appalto, dovrebbe richiederli all’appaltatore ricontrattando le conseguenti pattuizioni da concordare in via ulteriore».

Correttamente, dunque, la Corte di Appello di Roma aveva rilevato come il cattivo drenaggio dei campi da tennis non poteva ritenersi imputabile all’appaltatrice, la quale, dovendo operare solo sullo strato superficiale dei campi, non era tenuta, in base alle pattuizioni contrattuali, ad intervenire anche sul sottofondo filtrante.