Con un’interessante sentenza, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in tema di riparto dell’onere della prova tra venditore e compratore nelle c.d. azioni edilizie.

Il caso e la vicenda processuale

Tizio acquistava un veicolo a motorizzazione ibrida, venendogli assicurato che lo stesso poteva essere ricaricato presso le stazioni di servizio del Comune, sennonché, l’auto risultava non compatibile con le suddette stazioni di ricarica e non era in nessun modo adattabile ad esse.

Il proprietario, quindi, evocava in giudizio sia il precedente proprietario dell’auto, sia la società mandataria dalla quale aveva acquistato il mezzo, chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita, la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno. L’attore eccepiva il grave inadempimento dei convenuti. Il precedente titolare del veicolo non si riteneva né responsabile né legittimato passivo e, in caso di accoglimento della domanda attorea, proponeva domanda di risarcimento verso la società mandataria per aver violato i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del mandato. La società eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva dal momento che aveva agito solo in qualità di mandataria del venditore effettivo, ossia il proprietario del mezzo.

In primo grado, veniva accolta la domanda attorea, il contratto veniva risolto, i convenuti venivano condannati in solido alla restituzione del prezzo e al rimborso delle spese, mentre veniva rigettata la domanda risarcitoria.

In secondo grado, in via preliminare, veniva accolta l’eccezione relativa al difetto di legittimazione passiva del proprietario originario del mezzo, atteso che la società mandataria aveva venduto il bene senza alcuna spendita del nome del proprietario. Nel merito, veniva riformata la sentenza di primo grado e rigettata la domanda attorea, con condanna dell’attore al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Secondo il giudice del gravame, l’attore non aveva contestato la ricostruzione operata dalla sentenza di primo grado che qualificava la domanda attorea come azione di garanzia (ex art. 1490 c.c.) e non come risoluzione del contratto per grave inadempimento. Nel caso dell’azione di garanzia prevista dalla legge per il contratto di compravendita grava sul compratore l’onere di provare la sussistenza dei vizi, la tempestività della domanda e il nesso causale tra vizi e danno patito. Tale onere non risultava assolto dal compratore-attore, onde il rigetto della domanda.

Si giunse così in Cassazione.

La posizione della Corte di Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione (sent. 29 maggio 2023, n. 14895), il riparto dell’onere della prova tra venditore e compratore, nelle cosiddette “azioni edilizie”, non segue i principi fissati in materia di inesatto adempimento delle obbligazioni nelle ordinarie azioni contrattuali di risoluzione e di risarcimento del danno. Il compratore, infatti, gode della garanzia per vizi (art. 1490 c.c.), pertanto, qualora il bene risulti viziato in modo tale da renderlo inidoneo all’uso a cui è destinato o ne sia diminuito in modo apprezzabile il valore, può chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno. In tali circostanze, è il compratore ad essere gravato dall’onere di dimostrare la sussistenza dei vizi, anche in forza del principio di vicinanza della prova. Viene, così, ribadito il principio già affermato dalle Sezioni Unite nel 2019 (Cass. SS. UU. 11748/2019).

Pertanto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del compratore Tizio, in quanto quest’ultimo non aveva dimostrato uno specifico vizio: infatti, nel caso di specie, l’imperfezione contestata non ha impedito al bene di essere utilizzato per il proprio scopo.