Sulla qualità di condòmino alla luce della recente giurisprudenza

Come noto, il condòmino è il proprietario di una porzione immobiliare sita in un edificio in condominio: la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su tale materia, affrontando proprio lo spinoso tema dell’accertamento della qualità di condòmino, necessaria per fondare il relativo pagamento delle spese condominiali.

Infatti, occorre ricordare come ciascun condòmino contribuisca alle “spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza” in proporzione al valore della sua proprietà, salvo diversa convenzione (art. 1123 c.c.).

Il caso

Tizio, proprietario di un appartamento nel Condominio Beta, si opponeva al decreto ingiuntivo con il quale il Condominio Alfa gli intimava di pagare circa 1600 euro a titolo di saldo per la gestione condominiale ordinaria.

Oltre alla legittimità dei calcoli delle spese, il proprietario contestava in primis proprio la sua natura di condòmino.

Tizio affermava, infatti, di utilizzare soltanto una scala e l’androne del Condominio Alfa per raggiungere l’unità abitativa di sua proprietà ubicata, in realtà, in un altro distinto condominio, il Condominio Beta. Affermava, inoltre, come la mancanza di proprietà nel Condominio Alfa facesse venire meno l’unico criterio in base al quale il ricorrente stesso possa essere definito condòmino e, dunque, l’obbligo al pagamento delle spese condominiali.

Il giudice dell’opposizione, tuttavia, confermava l’ingiunzione di pagamento. La Corte di Cassazione, invece, ha accolto le ragioni del ricorrente.

La decisione

Venendo alla pronuncia in esame (Cass. n. 17582/2023), secondo la Corte di Cassazione, l’uso di una parte dell’edificio condominiale (in questo caso l’androne e le scale) non è di per sé sufficiente ad ammettere la comproprietà e, dunque, ad attribuire la qualità di condòmino, posto che tale utilizzo può essere frutto dell’autonomia privata a titolo, ad esempio, di servitù.

Conseguentemente, la Corte di Cassazione rinviava al giudice di merito per un nuovo esame della vicenda.

Tale rinvio si rendeva necessario affinché, come affermato dalla Suprema Corte in precedenti pronunce, il Tribunale, nella persona di diverso giudice, accertasse “la sussistenza della titolarità comune di scala e androne e, quindi, il rapporto di accessorietà necessaria, strutturale e funzionale, che lega alcune parti comuni di corpi di fabbrica distinti, al fine di poter attribuire al proprietario ricorrente la qualità di condòmino” (Cass. n. 9976/2022; Cass. 884/2018).