Sullo storno di collaboratori come atto di concorrenza sleale

Come noto, accade spesso che un dipendente risolva il proprio rapporto di lavoro in modo non sereno. Talvolta, in particolare nel settore commerciale, accade anche che il lavoratore in un arco di tempo piuttosto breve riesca a convincere alcuni suoi ex collaboratori a risolvere anch’essi il rapporto di lavoro per instaurarne un altro presso il nuovo datore di lavoro dove è andato a lavorare il primo. Dunque, quando si parla di storno di lavoratori, i soggetti interessati sono tre: il datore di lavoro da cui sono andati via i lavoratori, il datore che li ha acquisiti e i lavoratori stessi.

Dibattuta è la questione su quali siano le condizioni affinché lo storno di lavoratori possa configurarsi come atto di concorrenza sleale.

La posizione della dottrina

La dottrina sul punto è divisa in due correnti di pensiero: la prima tendente a valutare l’illiceità dell’atto sulla scorta di un’indagine basata esclusivamente sui fatti, mentre la seconda richiede anche l’intenzione del soggetto che ha posto in essere lo storno di lavoratori di danneggiare l’altro concorrente.

La posizione della giurisprudenza

La giurisprudenza, invece, ha adottato la seconda linea di pensiero, indicando come necessaria la sussistenza di una serie di specifiche condizioni: lo specifico scopo di danneggiare l’altrui azienda, il numero dei lavoratori stornati, la loro particolare qualificazione, la loro particolare utilità per l’impresa concorrente danneggiata e la brevità del lasso di tempo in cui si realizza lo storno (Trib. Milano n. 2611/2015; Cass. n. 13424/2008; Cass. n. 1100/2014).

Particolare attenzione, fra le condizioni sopra richiamate, merita quella relativa alla particolare qualificazione dei lavoratori stornati.

L’orientamento giurisprudenziale di gran lunga maggioritario ritiene infatti che, affinché lo storno di lavoratori possa configurarsi come atto di concorrenza sleale, i lavoratori debbano essere in possesso di particolari e specifiche competenze e cioè “siano particolarmente qualificati e utili per la gestione dell’impresa concorrente, in relazione all’impiego delle rispettive conoscenze tecniche usate presso l’altra impresa e non possedute dal concorrente stesso, così permettendo a quest’ultimo l’ingresso nel mercato prima di quanto sarebbe stato possibile in base ai propri studi e ricerche” (Cass. n. 13424/2008).