Sulle conseguenze derivanti in caso di mancato rispetto della relazione energetica allegata al progetto di realizzazione dell’immobile si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29781 del 2019, depositata il 15 novembre 2019.

Viene affermato il principio di diritto secondo il quale l’appaltatore è tenuto al rispetto delle prescrizioni contenute nel titolo autorizzativo e di quelle derivanti dal contratto sottoscritto dalle parti. Pertanto, la mancata menzione nel contratto di appalto delle prescrizioni contenute nella relazione energetica che, seppure prevista dalla legge ai fini del rilascio del titolo autorizzativo, non implica l’obbligo dell’appaltatore di rispettare tale prescrizione.

Ricorda, infatti, la Suprema Corte che “in tema di interpretazione del contratto, il procedimento si qualificazione giuridica consta di due fasi, della quali la prima consistente nella ricerca e nell’individuazione della comune volontà dei contraenti, è un tipo di accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda fase, concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente, risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche, può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo”.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che, in tema di appalto avente ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti senza rispettare la concessione edilizia, “occorre distinguere le ipotesi di difformità totale e parziale: nel primo caso, che si verifica ove l’edificio realizzato sia radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie, l’opera è da equiparare a quella posta in essere in assenza di concessione, con conseguente nullità di detto contratto per illiceità dell’oggetto e violazione di norme imperative; nel secondo, invece, che ricorre quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto, tale nullità non sussiste”, richiamando anche una giurisprudenza orientata nello stesso senso (ex multis, Cass., 27.11.2018, n. 30703).

Il caso esaminato aveva origine da un contratto di appalto stipulato tra due società, a seguito del quale, la società appaltatrice citava in giudizio la società committente per il pagamento delle prestazioni residue; la parte convenuta si costituiva chiedendo, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno in quanto la società, nella realizzazione dell’edificio, non aveva rispettato i requisiti contenuti nella relazione energetica allegata al progetto di realizzazione. L’eccezione veniva rigettata sia dal Tribunale di Lecco che dalla Corte d’Appello di Milano, così come poi dalla Corte di Cassazione.

L’appaltatore è tenuto esclusivamente al rispetto delle prescrizioni contenute nel titolo autorizzativo e di quelle derivanti dal contratto sottoscritto tra le parti; perciò non gli possono essere opposte le prescrizioni contemplate nella documentazione allegata al progetto di realizzazione dell’edificio nel caso in cui non siano state espressamente richiamate nel contratto di appalto.

La Corte ha dato chiara prevalenza ai “titoli”, ovverosia al titolo autorizzativo e al contratto di appalto, rispetto alle prescrizioni contenute nella relazione energetica, ribadendo dei principi cardine del diritto privato, tra cui il principio dell’autonomia negoziale, il principio dell’efficacia di legge del contratto tra le parti ed il principio della conservazione del contratto.