Non spetta al notaio rogante l’indagine concreta sulle qualità tecniche e sulla materiale e concreta regolarità edilizia e/o urbanistica di un immobile compravenduto e, laddove lo stesso raccolga le dichiarazioni urbanistiche del venditore in una clausola contrattuale facente parte dell’atto di pubblico di vendita, non ha alcun obbligo di indagare in merito alla veridicità delle attestazioni raccolte, non potendo in ogni caso essere a lui richieste/contestate attività che sono di competenza d’altra categoria di professionisti (ingegneri, architetti, geometri), che possiedono le relative cognizioni tecniche necessarie. Del resto la circostanza che gli atti di compravendita devono necessariamente contenere le dichiarazioni urbanistiche non implica un esame e un controllo nel “merito” da parte del rogante, non essendo in possesso delle relative capacità tecniche di accertamento.

Tribunale Bologna, sez. III, 27/02/2018, (ud. 03/02/2018, dep.27/02/2018),  n. 649
Fatto
  • SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    In seguito alla citazione in giudizio da parte attorea, che reclamava il risarcimento dei danni subiti per responsabilità contrattuale a causa dell’inadempimento del professionista, in occasione dell’assistenza prestata dal convenuto nel rogitare quattro diversi atti di compravendita, e alla costituzione di questo ultimo, che negava ogni responsabilità, la causa, respinte le istanze di prova orale e la richiesta di CTU, avanzate da parte attorea, era posta in decisione con l’assegnazione ai sensi dell’art. 190 c.p.c. dei termini massimi e sulle conclusioni rassegnate a verbale, innanzi trascritte.

    Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Com’è noto, l’obbligazione assunta dal professionista nei confronti del cliente è obbligazione di mezzi o di comportamento, non di risultato, con la conseguenza che l’inadempimento del professionista consiste nella violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e presuppone la violazione del dovere di diligenza media prescritto dall’art. 1176, 2° comma c.c.

    Nell’ambito della disciplina delle “professioni intellettuali” (artt. 2229-2238 c.c.) – da intendersi tutte le professioni per le quali l’accesso è subordinato all’iscrizione in appositi albi o elenchi, tra cui rientrano – è previsto uno specifico regime di responsabilità (art. 2236 c.c.), in base al quale “se la prestazione implica soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. La giurisprudenza concorde ha limitato il campo di applicazione di detta norma ai soli casi d’imperizia, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione della propria prestazione, provochi un danno per imprudenza o negligenza (ex plurimis Cass. civ., Sez. III, 19 aprile 2006, n. 9085). Quanto sopra vale anche per il fatto degli ausiliari (collaboratori, praticanti etc.) di cui il professionista si avvalga “sotto la propria direzione e responsabilità” (art. 2232 c.c.). Di conseguenza, il cliente che fa valere la responsabilità del professionista è tenuto a provare di aver dato incarico al professionista, nonché di avere sofferto un danno causato dalla insufficiente, inadeguata o negligente attività del professionista o del suo ausiliario (Cassazione, SSUU n. 13533/2001).

    In tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in merito al criterio di valutazione del comportamento tenuto dal professionista intellettuale (nello specifico commercialista) nello svolgimento della sua attività, ha avuto modo di precisare che: “il professionista deve porre in essere i mezzi concettuali ed operativi che, in vista dell’opera da realizzare, appaiono idonei ad assicurare quel risultato che il committente si ripromette dall’esatto e corretto adempimento dell’incarico, con la conseguente valutazione del suo comportamento alla stregua della diligentia quam in concreto” (Cassazione, sez. III sentenza 26 aprile 2010, n. 9916).

    Ciò posto in via generale, nello specifico la domanda non è fondata e non merita accoglimento, non avendo parte attorea pienamente soddisfatto l’onere probatorio posto a suo carico.

    L’inadempimento dedotto ed oggi imputato al professionista, consiste nell’aver redatto quattro contratti di compravendita relativi a quattro distinte unità immobiliari (tre riguardano M. nelle date 19.09.2006 rep. 4312; 27.03.2007 rep. 5371; 10.07.2009 rep 11.567; ed una D. in data 22.04.2011 rep. 16.480), omettendo di procedere ai necessari accertamenti, preventivi rispetto alla stipulazione dell’atto di trasferimento immobiliare, in modo da consentire agli attori di ottenere il pieno godimento di ciascun immobile: tutti, infatti, erano risultati privi di agibilità. Secondo la tesi attorea le dichiarazione di parte venditrice in ordine alla regolarità edilizia e catastale dell’immobile dovevano trovare riscontro nelle indagini tecniche svolte dal notaio, il quale doveva a sua volta informare il cliente: il notaio ha invece omesso di eseguire tali accertamenti.

    Secondo la regola generale posta dall’art. 2697 cc l’attore, stante la contestazione relative sia all’an sia al quantum ed in particolare, per quanto qui specificamente interessa, circa la colpevole omissione di accertamenti relativi all’agibilità degli immobili traferiti, aveva l’onere, prima, di allegare in maniera sufficientemente precisa l’inadempimento e, poi, di provare in maniera altrettanto precisa il pregiudizio sofferto.

    Tale onere non è stato sufficientemente adempiuto, né poteva portare a ciò l’allegazione dei richiami, in buona parte generici, operati ad alcune pronunce di legittimità. Per ciò adempiere parte attorea avrebbe dovuto dedurre, prima, e dimostrare, poi, in maniera necessariamente analitica (non per meri enunciati di ordine generico), da quali elementi concreti (omessi o non correttamente interpretati) si poteva dedurre la conoscenza in capo al notaio dell’assenza dell’agibilità, cosa mai avvenuta.

    Gli attori, infatti, non hanno mai indicato da quale documento o da quale elemento concreto il notaio poteva o doveva desumere l’esistenza dell’allegata irregolarità urbanistica (mancanza della licenza o certificato di agibilità). Del resto ciò trova conforto a contrario proprio nell’allegazione attorea, che soltanto in seguito agli accertamenti tecnici (tra cui anche misurazioni e rilievi), svolti da un geometra, è emersa la carenza dei requisiti urbanistici per l’agibilità.

    Del resto, se al notaio si addebita l’omissione d’indagini specifiche, sul punto si osserva che, in primo luogo, non risulta mai neppure allegato che l’incarico professionale comprendesse una tale specifica obbligazione e, in secondo luogo, un tal tipo di obbligazione nello specifico non può ritenersi sussistente in concreto neppure quale obbligazione necessariamente accessoria per le ragioni che si andranno ad esporre.

    Da un punto di vista sostanziale la disciplina del certificato di agibilità è essenzialmente concentrata negli artt. 24,25 e 26 del D.P.R. n. 380/2001.

    L’art. 24, 1° co., cit. afferma la funzione di esso, ossia attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi istallati (cfr. Cass. 11 aprile 2006, n. 8409).

    Dalla norma si desume altresì che l’agibilità può essere sia totale sia parziale (riferirsi anche ad una sola porzione dell’edificio). In particolare, ciò emerge dal comma 4-bis lett. b), laddove si fa richiamo esplicito all’agibilità parziale dell’edificio rispetto alle singole unità immobiliari in esso ricomprese, che possono essere dotate di un loro specifico certificato di agibilità.

    Come pacifico, la norma è posta a presidio dell’interesse privato delle parti ed in particolare dell’acquirente, che può conoscere se l’immobile, che sta acquistando, rispetta le condizioni elencate dall’art. 24 cit. ed è, quindi, in grado di assolvere alla funzione economico-sociale, cui è in concreto destinato.

    È questo quello che ha affermato la prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. 20 aprile 2006, n. 9253; Cass. 25 febbraio 2002, n. 2729; Cass. 28 marzo 2001, n. 4513; Cass. 19 dicembre 2000, n. 15969).

    In particolare, è stato affermato che l’obbligo di consegnare il certificato di agibilità grava sul venditore ex art. 1477, comma 3, cod. civ. (cfr. Cass. 4 novembre 1995, n. 11521; Cass. 28 marzo 2001, n. 4513; Cass. 18 ottobre 2004, n. 20399; Cass. 26 aprile 2007, n. 9976; Cass. 8 febbraio 2016, n. 2438).

    Si tratta altresì di un obbligo derogabile dalle parti.

    Sotto il profilo della validità ed efficacia del contratto, il D.P.R. n. 380 del 2001 e, prima ancora, la L. n. 47/1985, non richiedono di menzionare il certificato di agibilità a pena di nullità, così come, invece, accade per i titoli edilizi abilitativi, quale, ad esempio, il permesso di costruire. Ciò dipende dai diversi interessi che la disciplina urbanitica persegue, interessi pubblici, tutelati attraverso norme imperative che prevedono una nullità testuale.

    Infatti, la tesi della nullità del contratto, in cui manchi il certificato di agibilità, per illiceità dell’oggetto ex art. 1346 cod. civ., in virtù di una presunta contrarietà alle norme urbanistiche (cfr. in giurisprudenza, Trib. Venezia, 9 febbraio 1978), non ha avuto seguito, in quanto si è evidenziato come manchino norme imperative di previsione dell’obbligo di preventivo rilascio del certificato, stante la natura privatistica degli interessi tutelati (cfr. Cass. 20 aprile 2006, n. 9253; Cass. 5 ottobre 2000, n. 13270; Cass. 29 marzo 1995, n. 3687; Cass. 11 agosto 1990, n. 8199).

    A conferma di ciò si è osservato che l’art. 24, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di mancata presentazione della domanda intesa ad ottenere il certificato di agibilità.

    Da quanto detto discende inoltre la prova positiva, offerta dal convenuto, di aver in concreto esattamente adempiuto al mandato.

    Infatti, risponde a verità documentale che ” In tutti gli atti di compravendita rogati veniva inserita (cfr. art. 6) apposita clausola contrattuale concernente la dichiarazione del/i venditore/i riguardante la costruzione degli immobili compravenduti in data antecedente al 1° settembre 1967, nonché la dichiarazione relativa alla “regolarità urbanistica di quanto in oggetto e resta obbligata (n.d.r. la parte venditrice), in caso contrario, a tenere la Parte acquirente indenne da qualunque spesa, onere o pregiudizio conseguente”.” A ciò si aggiunge, poi, l’ulteriore circostanza che per l’atto 10.07.2009 vi è anche un concreto riferimento all’abitabilità rilasciata nel 1958 e all’autorizzazione all’uso del 1994.

    Conseguentemente è provato l’esatto adempimento della prestazione professionale e vieppiù anche dell’obbligazione di protezione del cliente con l’inserimento di una specifica clausola di tutela dello stesso.

    Non spetta, infatti, al notaio rogante l’indagine concreta sulle qualità tecniche e sulla materiale e concreta regolarità edilizia e/o urbanistica di un immobile compravenduto e, laddove lo stesso raccolga le dichiarazioni urbanistiche del venditore in una clausola contrattuale facente parte dell’atto di pubblico di vendita, non ha alcun obbligo di indagare in merito alla veridicità delle attestazioni raccolte, non potendo in ogni caso essere a lui richieste/contestate attività che sono di competenza d’altra categoria di professionisti (ingegneri, architetti, geometri), che possiedono le relative cognizioni tecniche necessarie. Del resto la circostanza che gli atti di compravendita devono necessariamente contenere le dichiarazioni urbanistiche non implica un esame e un controllo nel “merito” da parte del rogante, non essendo in possesso delle relative capacità tecniche di accertamento.

    A ciò si aggiunge, poi, la rilevante circostanza che tutti gli immobili erano stati costruiti in epoca antecedente al 1967, con la conseguenza che devono ritenersi esatte le seguenti affermazioni conclusive del professionista, che di seguito si trascrivono letteralmente : “Nella presente fattispecie tutti i venditori dei diversi atti di compravendita hanno dichiarato che “le opere relative ai beni in contratto sono state iniziate in data anteriore al 1° settembre 1967” (cfr. art. 6 degli atti di compravendita).

    Se un inadempimento si è verificato, dunque, esso è ascrivibile esclusivamente ai diversi venditori – o ai danti causa – e non anche al Notaio rogante, il quale, infatti, “non può rispondere di un inadempimento negoziale (mancanza del certificato di agibilità) non proprio ma di terzi (il venditore immobiliare)” (da ultimo Trib. Pescara, 7 aprile 2011, n. 568, in Giurisprudenza locale – Abruzzo 2011).

    Nel medesimo significato, la Corte di Appello di Roma, ha avuto modo di precisare che la verifica della conformità urbanistica di un immobile “pur risolvendosi essa in una qualità giuridica della cosa, richiede il possesso di competenze e l’esecuzione di verifiche di natura tecnico – edilizio – urbanistica che sfuggono alla preparazione professionale del notaio e che, di conseguenza, gli imporrebbero di rivolgersi ad altro professionista, geometra, architetto o ingegnere”

    Nella presente fattispecie si deve rilevare, invece, come la dichiarazione resa dalle parti venditrici nel testo degli atti, oltre al mancato conferimento di un incarico ulteriore, di cui si è detto, fosse non soltanto formalmente perfetta, ma facesse altresì sorgere la presunzione di libera circolazione:”…gli immobili costruiti in epoca anteriore al 1 settembre 1967 sono liberamente commerciabili, qualunque sia l’abuso edilizio commesso dall’alienante…” (Cassazione Civ., 22 agosto 1998, n. 8339; più recentemente Cass. 20 marzo 2006, n. 6162, per la quale “secondo il disposto della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, gli immobili costruiti in epoca anteriore al 2 settembre 1967 sono liberamente commerciabili, qualunque sia l’abuso edilizio commesso dall’alienante, a condizione che, nell’atto pubblico di trasferimento, risulti inserita una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, senza che rilevi, pertanto, ai fini della legittimità del trasferimento, la mancanza dell’attestazione di conformità della costruzione alla licenza edilizia ovvero la esistenza di una concessione in sanatoria”).

    Alla luce di tutto quanto sin qui argomentato, risulta evidente l’assenza di responsabilità del notaio X cui consegue il necessario rigetto delle infondate domande rivolte nei suoi confronti.”

    In ogni caso non può condividersi nello specifico la difesa attorea, laddove sostiene che il notaio avrebbe dovuto accertarsi motu proprio ed a prescindere da ogni sospetto sulla conformità edilizia ed urbanistica degli immobili rogitati e a prescindere dalle dichiarazioni rese nell’atto pubblico dai venditori.

    Può convenirsi ancora una volta con la difesa del professionista, quando letteralmente afferma che “… la verifica della conformità urbanistica di un immobile, pur risolvendosi in una qualità giuridica della cosa, richiede il possesso di competenze e l’esecuzione di verifiche di natura tecnico – edilizia – urbanistica che sfuggono alla preparazione professionale del notaio e che, di conseguenza, gli imporrebbero di rivolgersi ad altro professionista, geometra, architetto o ingegnere.

    Ciò è tanto vero che gli istanti, per avere certezza che gli immobili compravenduti non avessero l’abitabilità e per fare eseguire le opere necessarie ad acquisirla, si sono rivolte ad un tecnico, il geom. Galletti e, successivamente, ad altri professionisti.

    Un tale accertamento era evidentemente non esigibile da parte del pubblico ufficiale.

    Infine, si riporta il testo di altra recentissima sentenza (Tribunale di Monza, sentenza n. 1033/15, pubblicata il 31/0315, doc. 5) dove, in una fattispecie analoga, il Tribunale ha escluso la responsabilità del notaio mentre ha condannato i venditori alla restituzione del prezzo della compravendita a causa della mancanza dell’agibilità nell’immobile compravenduto. La pronuncia richiamata riprende anche la sentenza della Corte di Cassazione citata dagli attori, illustrandone il corretto significato: “(…) Cass. 10296/12 ha affermato che il notaio può rispondere anche nel caso in cui non notizi dell’assenza dell’abitabilità; occorre pero valutare caso per caso; in particolare, occorre che l’assenza dell’abitabilità potesse emergere facilmente dal solo esame documentale. Posto che di certo il notaio non è tenuto a fare indagini tecniche, né a fare sopralluoghi, l’accertamento e la scoperta dell’assenza di abitabilità deve derivare dall’esame della documentazione necessaria per redigere l’atto (…). Il notaio non è tenuto a richiedere al venditore il certificato di abitabilità, non trattandosi di atto necessario alla redazione del rogito (certificato di abitabilità che può essere consegnato separatamente, anziché contestualmente al rogito, all’acquirente da parte del venditore). E’ solo quando in sede di esame dei documenti necessari al rogito sorga il fondato dubbio dell’assenza di abitabilità, che il notaio deve notiziare l’acquirente”.”

    Si osserva infine come, manifestamente irrilevante l’allegazione dell’esistenza di un Protocollo d’intesa tra Consiglio Nazionale del Notariato e Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati (peraltro non prodotto) sull’opportunità di una perizia tecnica preventiva (in quanto asseritamente siglato il 01.12.2014 mentre i rogiti de quibus risalgono all’arco temporale 2006/2011), le sentenze della Suprema Corte richiamate dalla difesa attorea, a sostegno del proprio assunto di responsabilità, ad una attenta disamina si rivelano di contenuto e portata eccentrici rispetto alla centralità dell’odierna questione e, pertanto, risultano richiamate non a proposito, ovvero in maniera non completamente corretta.

    Infatti:

    – Cass. 21.06.2012 n. 10296 (RV 623038), come in parte già evidenziato in precedenza dal richiamo fattone da parte convenuta, fa riferimento alla sussistenza nei titoli di provenienza di un espresso “atto di obbligo” (a non cambiare la destinazione d’uso) assunto dal costruttore nei confronti del Comune;

    – Cass. 14.01.2014 n. 629, riguarda l’esclusiva responsabilità del venditore;

    – Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5158 del 06/04/2001 (Rv. 545699 – 01) riguarda il notaio che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto, di un’iscrizione pregiudizievole;

    – Cassazione civile, sez. III, 20/08/2015, n. 16990 (Rv 636622) riguarda l’omissione di visure catastali ed ipotecarie, che avrebbero consentito di accertare la diversa titolarità del terreno;

    – Cassazione Civile, sez. III, 18.05.2017 n. 12482 (Rv. 644201 – 01) riguarda gli effetti e la durata della trascrizione del contratto preliminare;

    – Cassazione Sezioni Unite sentenza del 31/07/2012, n. 13617 riguarda il maggior peso degli oneri fiscali, derivati dalla sostituzione del mutuo con un altro, rispetto alla surroga.

    Certamente sussiste un recentissimo orientamento della Suprema Corte, che tende a favorire o meglio privilegiare, un nuovo, fondamentale, ruolo dei notai, che diventano (sempre più) affidatari della funzione di garantire il raggiungimento dello scopo tipico dell’atto rogato e del risultato pratico, che le parti hanno inteso conseguire con quell’atto.

    Tuttavia un siffatto orientamento, a parere del Tribunale, deve essere inteso cum grano salis e necessita di un limite adeguato per evitare il rischio di dilatare in modo eccessivo la responsabilità del professionista, finendo per far incombere sul notaio qualsiasi inconveniente suscettibile di impedire la concreta realizzazione degli interessi delle parti.

    Ed a ciò deve soccorrere in primo luogo il principio di auto responsabilità, positivizzato nella previsione dell’art. 2 della stessa Carta Costituzionale, in base al quale sussiste a carico di tutti i consociati un dovere di solidarietà sociale ed un siffatto dovere ben può legittimamente estrinsecarsi attraverso l’aspettativa di un comportamento attento, vigile ed auto responsabile da parte di ciascuno, ossia dell’improntare il proprio comportamento al canone di diligenza in concreto esigibile dell’uomo medio, inteso come quella persona mediamente avveduta dell’operazione che in concreto va perseguendo.

    Deve, pertanto, affermarsi con la migliore e condivisibile giurisprudenza che va esclusa la responsabilità del notaio rogante della compravendita, laddove l’immobile si riveli privo dell’abitabilità. Il dovere di consiglio, relativamente alle scelte tecnico giuridiche proprie della professione notarile (gravante sul notaio ex art. 42, comma 1, lett. a), del codice di deontologia notarile), è certamente rilevante, ma non al punto tale da poter ipotizzare che il notaio si possa sostituire ad un tecnico, con competenze ingegneristiche o similari, per valutare autonomamente se l’immobile sia o meno abitabile. Va escluso, pertanto, che il notaio abbia l’obbligo di accertare la veridicità di una qualità del bene non incidente sulla relativa commerciabilità.

    A rispondere del danno sarà unicamente il venditore. Quindi, deve essere esclusa la responsabilità del notaio per non aver verificato la veridicità della dichiarazione di abitabilità dell’immobile compravenduto nel caso in cui l’acquirente, successivamente al perfezionamento del negozio di compravendita, si avveda della parziale non abitabilità dello stesso. Il dovere di consiglio che incombe sul professionista non si estende sino all’esame di questioni tecniche, differenti dalle questioni di natura giuridica, che richiederebbero delle competenze ingegneristiche in capo al notaio stipulante, tali da consentirgli di valutare autonomamente se l’immobile compravenduto sia o meno effettivamente abitabile (cfr. in espressi termini Cass. civ. Sez. III, 13-06-2017, n. 14618).

    Da ciò discende inevitabilmente il rigetto della domanda.

    La portata dirimente degli argomenti esposti comporta l’irrilevanza delle richieste istruttorie insistite dalle parti, invero solo da quella attorea e solo nella ritrasposizione acritica delle relative istanze, specie quella relativa alla CTU, che si propone come manifestamente esplorativa per come rappresentata e obiettivamente superflua in ragione delle allegazioni pacifiche sulla mancanza dell’agibilità.

    Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in parte dispositiva.

    Non sussistono estremi per una responsabilità per lite temeraria a carico di nessuno dei contendenti.

    La presente sentenza è ex lege esecutiva nonostante gravame.

    Il Tribunale in composizione monocratica,

    PQM

    PER QUESTI MOTIVIdefinitivamente pronunciando sulla domanda attorea, ogni contraria ed ulteriore domanda ed eccezione respinte:

    – rigetta la domanda di M. e D. ;

    – condanna M. e D. al pagamento in solido delle spese di lite, che liquida in E 00,00 per spese ed E 5.600,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA e CPA se dovuti e nelle aliquote legali;

    – dichiara la sentenza esecutiva ex lege.

    Bologna 03.02.2018

    Depositata in cancelleria il 27/02/2018