Opere su commissione ed appartenenza dei diritti di utilizzazione economica e dei diritti morali

In premessa, occorre evidenziare come la fotografia, per essere qualificata opera dell’ingegno, debba essere dotata di carattere creativo (artt. 1 e 2 della l. 633/1941). Il carattere creativo altro non è che la manifestazione della personalità dell’autore, requisito che non deve essere confuso con il valore artistico. Si richiede, dunque, l’apporto personale del fotografo, il quale si manifesta in elementi come l’inquadratura, la prospettiva, il dosaggio dei toni e la cura della luce. In particolare, “una fotografia è qualificabile come opera fotografica quando attraverso l’inquadratura, la prospettiva, la cura della luce è in grado di trasmettere un messaggio ulteriore e diverso rispetto alla mera rappresentazione obiettiva di quanto fotografato, manifestando così l’interpretazione personale dell’autore del soggetto ritratto” (Trib. Roma, n. 4361/2021). Da un punto di vista giuridico, l’opera di ingegno possiede una duplice natura: da un lato è frutto dell’abilità creativa umana e genera diritti morali, dall’altro è un bene immateriale e come tale genera diritti patrimoniali. Il tema delle opere d’ingegno create da autori su commissione è stato ampiamente affrontato in dottrina e giurisprudenza, soprattutto con riferimento ai diritti di utilizzazione economica e ai diritti morali d’autore.

I diritti patrimoniali

In primo luogo, ci si è domandati se i diritti patrimoniali sorgano in capo al committente per il solo fatto della creazione dell’opera da parte del soggetto al quale è stato conferito l’incarico o, invece, per effetto delle previsioni del contratto. Già il Tribunale di Bologna aveva richiamato quest’ultima tesi affermando come: “il principio per cui nel caso di attività inventivo-creativa del lavoratore autonomo i diritti di utilizzazione economica dell’invenzione/opera dell’ingegno spettano al committente se oggetto del contratto è l’attività inventiva/creativa e salvo patto contrario discende dalle regole del contratto d’opera” (Trib. Bologna, n. 96/2020). Anche la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito tale principio, affermando come: “in materia di diritto d’autore il committente è titolare, a titolo derivativo o originario, in via esclusiva, dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno realizzate su commissione dal lavoratore autonomo, ove quest’ultimo si sia obbligato, dietro compenso, a svolgere un’attività creativa affinché la controparte possa poi sfruttarne economicamente i risultati, spettando invece all’autore i diritti morali” (Cass. n. 8433/2020).

I diritti morali

La seconda questione riguarda i diritti morali d’autore, che, in quanto inseparabili dalla persona dell’autore, irrinunciabili e imprescrittibili, non possono essere attribuiti, né direttamente, né indirettamente al committente. In altri termini, occorre evidenziare come il diritto morale d’autore riguardi la personalità e la reputazione dell’autore stesso: “il diritto morale d’autore costituisce la ricompensa non economica (ma almeno altrettanto importante) che consiste nell’essere riconosciuto fra il pubblico indistinto come il soggetto che l’opera stessa abbia realizzato con il proprio originale apporto creativo” (Cass. n. 17565/2021).

Più precisamente, essi consistono, ai sensi degli artt. 20 ss. L.D.A.: 1) nel diritto a rivendicare la paternità dell’opera, cioè a essere riconosciuto come il creatore della stessa; 2) nel diritto all’integrità dell’opera, in virtù del quale l’autore si può opporre a deformazioni, modificazioni e a ogni altro atto o danno dell’opera stessa, che possano comportare pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’autore; 3) il diritto di ritirare l’opera dal commercio per gravi ragioni morali.