In caso di incidente, il danno patrimoniale da perdita del lavoro domestico, conseguente alle lesioni subite, deve essere riconosciuto indistintamente all’uomo ed alla donna. A nulla rileva la distinzione tra i sessi, in forza del fondamentale principio stabilito dall’art. 143 c.c. Quest’ultimo stabilisce, infatti, che “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

Tale precisazione viene fornita dalla Cassazione. Il caso riguarda la richiesta di risarcimento del danno avanzata da un uomo a causa di un sinistro allo stesso occorso. In seguito all’incidente, infatti, il soggetto lamentava l’impossibilità di recarsi a lavoro, nonché quella di provvedere alle quotidiane faccende domestiche.

La Corte d’Appello di Venezia, in contrasto con i fondamentali principi di parità, rigettava la richiesta così avanzata. Secondo la stessa, “non rientrerebbe nell’ordine naturale delle cose, che il lavoro domestico venga svolto da un uomo”. Tale motivazione non poteva che essere dichiarata illogica dalla Cassazione. Ciò in quanto, qualunque persona non può fare a meno di occuparsi di una certa aliquota di lavoro domestico. Anche solo relativamente alle proprie personali esigenze.

Il lavoro domestico, quindi, è un’utilità suscettibile di valutazione economica. Il risarcimento sarà pari al costo ideale di un collaboratore cui affidare le incombenze che la vittima non ha potuto sbrigare da sé. Di conseguenza, la perduta possibilità di svolgere le normali attività casalinghe costituisce un danno risarcibile.

Fonte: Cassazione civile, 18/11/2014, N. 24471

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