PER COSTITUIRSI UNA SERVITU’ DI VEDUTA NON E’ NECESSARIO CHE L’OPERA SIA ULTIMATA

Nell’ordinanza n. 7783 del 10 aprile 2020 la Sesta Sezione della Corte di Cassazione Civile ha stabilito che ai sensi dell’art. 1062 c.c. una servitù di veduta acquistata per destinazione del padre di famiglia si costituisce validamente, qualora esista annessa opera, non rilevando il fatto che sia ultimata.

Il caso

La ricorrente ricorreva in giudizio contro il proprietario dell’appartamento sottostante lamentando la lesione del proprio diritto di servitù di veduta, affermando di esserne titolare a seguito dell’acquisto per destinazione del padre di famiglia.

Causa del ricorso era una veranda dell’immobile del convenuto collocata a una distanza dal balcone della ricorrente inferiore a quella stabilita dall’art. 907 c.c. Il ricorso veniva respinto in primo grado ma accolto dalla Corte d’Appello, ritenendo intervenuti i presupposti per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.

Inoltre ricostruendo i fatti, la Corte osservava che i rispettivi appartamenti erano originariamente di proprietà di un solo costruttore che, in seguito ad una permuta, aveva realizzato le unità immobiliari costruendo verande e balconi idonei a costituire la servitù di veduta oggetto di causa.

Il convenuto soccombente faceva ricorso davanti alla Corte di Cassazione.

Il contesto normativo

L’art. 1062 c.c. sulla costituzione di servitù recita che “La destinazione del padre di famiglia ha luogo quanto consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. 

Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s’intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.

La decisione

I giudici della Corte d’Appello rigettavano la tesi del ricorrente secondo cui il diritto invocato dall’attrice era insussistente in quanto, secondo le motivazioni presentate, in caso di permuta di cosa presente con cosa futura nel contratto che ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’area edificabile in cambio di parti dell’edificio da costruire sulla stessa superficie a cura e spese del cessionario,  l’effetto traslativo si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Quando la cosa futura consiste in una porzione dell’edificio che il permutante costruttore si è impegnato a realizzare, questo momento coincide con la conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, quindi con la realizzazione delle strutture fondamentali.

Dunque, applicando tale principio, la Corte avrebbe dovuto constatare che non sussistevano ancora i presupposti della servitù poiché, a detta del ricorrente, è fatto di comune esperienza che la costruzione di un solaio di copertura a rustico può trasformarsi in una servitù di veduta solo dopo che è stato reso accessibile e munito di parapetto, in modo da consentire un affaccio comodo e sicuro sul fondo altrui.

La Corte di Cassazione asserisce invece che “è stato chiarito che l’esistenza di aperture nel muro, sebbene prive della intelaiatura, ma che rivelino, in modo palese, la specifica e normale funzione di consentire l’esercizio della veduta sul fondo del vicino deve considerarsi sufficiente a creare de facto quella situazione che occorre per dar vita alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia e ciò in quanto a tale fine non occorre che la situazione oggettiva di subordinazione o di servizio tra i due fondi derivi da opere complete e munite di tutti gli attributi ad esse inerenti, essendo, invece, sufficiente che esistano segni visibili, precisi ed inconfondibili, che valgano a rilevare, obiettivamente ed in modo non equivoco, la destinazione dell’opera all’esercizio della servitù”.

Dunque essa afferma che ai sensi dell’art. 1062 c.c., ai fini dell’acquisto di una servitù per destinazione del padre di famiglia, è sufficiente l’esistenza di opere naturali o artificiali di natura permanente oggettivamente destinate al suo esercizio e tali da manifestare, in maniera non equivoca, l’esistenza di un peso a carico del fondo servente.

Non occorre quindi che l’opera sia definitivamente ultimata ma solo che esista.

La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso del convenuto condannandolo al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’attrice.