Con un’interessante ordinanza, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in merito alla distinzione tra contratto d’appalto e contratto d’opera (Cass. n. 3682/2024).

Il caso e la vicenda processuale.

Tizio e Caio, comproprietari di un appartamento sito al piano terreno di un immobile, chiamavano in giudizio davanti al Tribunale  Sempronio, proprietario dell’appartamento sovrastante, e Mevio, titolare della ditta che aveva effettuato il rifacimento dei lastrici solari, dei cornicioni e dei canali di gronda, chiedendo di condannarli in solido al risarcimento dei danni patiti a causa delle infiltrazioni verificatesi nel loro appartamento e nel porticato antistante. Mevio si costituiva, sostenendo che il contratto doveva essere qualificato come contratto d’opera e non come contratto d’appalto; eccepiva quindi la prescrizione annuale dell’azione ex art. 2226 c.c. e precisava che i lavori svolti dalla sua ditta riguardavano mere riparazioni della pavimentazione del terrazzo, non la copertura del cordolo né l’impermeabilizzazione del cornicione. Il Tribunale Alfa qualificava il contratto come appalto, condannava i convenuti in solido al pagamento di euro 4.826,80, pari al costo dei lavori per l’eliminazione dei danni causati dalle infiltrazioni, e condannava Mevio a pagare a Tizio e Caio euro 9.333,89, quale loro quota delle spese da sostenere per eliminare i vizi dell’opera.

Si giunse in appello: la Corte d’Appello, in accoglimento del gravame, dopo aver qualificato il contratto de quo quale contratto d’opera, con conseguente applicazione all’azione contrattuale per vizi dell’opera del termine di un anno dalla consegna previsto dall’art. 2226 c.c., considerato che i lavori commissionati all’impresa stati completati nell’ottobre 2006, osservava che all’epoca del ricorso per accertamento tecnico preventivo, il 20 agosto 2009, era ormai decorso oltre un anno dalla consegna dell’opera. L’eccezione di prescrizione era poi stata tempestivamente proposta da Mevio, cosicché la domanda attorea nei confronti di quest’ultimo doveva essere rigettata per prescrizione dell’azione. Infine, non poteva essere applicato l’art. 1669 c.c., che presuppone l’avvenuta stipulazione di un contratto di appalto e neppure la responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c., dato che le parti erano legate da un vincolo contrattuale e l’azione esercitata aveva le caratteristiche dell’azione contrattuale.

Tizio e Caio ricorrevano in Cassazione.

La posizione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso: in particolare, il Supremo Collegio ha richiamato la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la distinzione tra contratto d’opera e contratto d’appalto, posto che entrambi hanno in comune l’obbligazione verso il committente di compiere a fronte di corrispettivo un’opera senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue, si basa sul criterio della struttura e dimensione dell’impresa a cui sono commissionate le opere. Pertanto, il contratto d’opera coinvolge la piccola impresa desumibile dall’art. 2083 c.c., mentre il contratto di appalto postula un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto.

In applicazione di detto principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, che, qualificato il contratto come contratto d’opera, ha rigettato la domanda per decorso del termine di prescrizione previsto dall’art. 2226 c.c.