Un avvocato aveva assistito un Comune in un maxiprocesso per mafia, costituendosi parte civile. A mandato concluso aveva chiesto il pagamento di una parcella pari a circa 98 mila euro, somma che tale Comune si era rifiutato di corrispondere. Il Tribunale di Caltanissetta in primo grado aveva allora condannato il Comune al pagamento di una somma nettamente inferiore, pari a circa 19 mila euro. L’avvocato in questione, vedendosi inoltre rigettare la proposta di appello, decide di proporre ricorso in Cassazione per quattro motivi.
I primi tre vengono però subito respinti in quanto inerenti a valutazioni di merito sottratte alla competenza della Suprema Corte: i vizi della sentenza, posti a base del ricorso per cassazione, non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, né possono attenere al difforme apprezzamento dei fatti dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 231/2002 art.2,4,5.
Secondo lui, sia il Tribunale che la Corte di Appello avrebbero errato a non considerare che l’atto con cui venivano richieste le somme al comune, in data 10 agosto 2009 contenesse un’espressa richiesta di pagamento con i requisiti di un vero e proprio atto di messa in mora. Pertanto la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere la rivalutazione monetaria e gli interessi con decorrenza dalla sopracitata data. Ma anche questo motivo è infondato. La decisione della Corte di appello è coerente con i principi, ripetutamente affermati dalla Cassazione, ed in particolare con quello per cui in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tariffe forensi prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all’invio della parcella, tuttavia quando insorge controversia tra l’avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento. Sicché è da quella data e nei limiti di quanto liquidato dal giudice – e non da prima, che va riportata la decorrenza degli interessi.
Inoltre, per quanto riguarda la svalutazione monetaria, il credito dell’avvocato per onorari professionali è credito di valuta e non di valore, avendo ad oggetto una somma di denaro. Ne consegue che la sopravvenuta svalutazione monetaria non consente una rivalutazione d’ufficio di esso, occorrendo una domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti dall’art.1224 c.2 c.c. ed il soddisfacimento del relativo onere probatorio. Inoltre, essendo applicabile l’art. 429 del c.p.c., la svalutazione potrà essere riconosciuta solo qualora l’opera dell’avvocato si configuri come attività continuativa e coordinata tipica dei cosiddetti rapporti di parasubordinazione. Nel caso di specie però, nella fase di appello, l’avvocato non ha svolto alcuna attività al fine di assolvere l’onere della prova conseguente alla sua domanda di rivalutazione monetaria. Per questi motivi, si propone il rigetto del ricorso.

Autorità: Cassazione Civile sez. VI

Data: 04/06/2015

Numero: 11587