La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12531/2015, ha affermato che la scorciatoia della creazione ad hoc di fatture false per ottenere un risultato che, in mancanza di deduzioni sulla tutela giudiziaria dei crediti, è oltretutto incerto, è anche inammissibile. Nel caso di specie, il rappresentante legale di una società cooperativa veniva condannato per aver indicato nella dichiarazione annuale relativa all’IVA, degli elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Esso aveva ammesso di aver materialmente posto in essere la condotta, ma negava di aver voluto evadere l’imposta, avendo utilizzato le fatture per compensare il mancato pagamento delle fatture attive emesse nei confronti di alcuni clienti inadempienti per una somma ritenuta non più recuperabile. Per questo fatto, l’imputato eccepiva, ai sensi dell’art.606 c.p.p., lett b) ed e), l’inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. 74/2000, art.2, o comunque la mancanza di motivazione sul punto, deducendo che i giudici di merito avessero ritenuto la sussistenza del reato in base al solo utilizzo della fatture inesistenti, cosa non sufficiente in quanto, per l’integrazione del reato è necessario che sussistano anche l’effettiva evasione e, sul piano soggettivo, l’intenzione dell’evasione. A ciò, aggiungendo che qualora egli non avesse così operato, la cooperativa non sarebbe stata in grado di onorare il debito tributario, incorrendo nella possibile consumazione del reato di cui al D.Lgs. 74/2000, art 10­ter. La Cassazione ritiene però il ricorso infondato. La fattura deve essere sì emessa al momento della effettuazione dell’operazione come determinata dal D.P.R.633/1972, art.6, tuttavia, tale Decreto disciplina diversamente i modi e i casi in cui l’imposta diviene esigibile, se cioè al momento della ricezione del corrispettivo o in un momento successivo o con la sola emissione della sola fattura a prescindere dal conseguimento effettivo dell’importo indicato. Nel caso di specie, la questione non è stata posta nei suoi esatti termini in appello perché il ricorrente ha fornito sì l’anagrafica dei clienti insolventi, ma non ha mai dedotto quale specifico tipo di prestazione fosse stata disimpegnata nei loro confronti. Non è dunque più possibile stabilire se le operazioni rese avrebbero comunque consentito l’emissione della fattura al momento della corresponsione del corrispettivo oppure no. Il legislatore, prevede meccanismi di recupero dell’imposta successivamente rivelatasi inesigibile per il mancato pagamento del corrispettivo fatturato, sia pure ancorandoli a dati oggettivi e incontrovertibili come l’infruttuoso esperimento di procedure esecutive che, a loro volta, presuppongono l’avvenuto esercizio dell’azione civile per la tutela giudiziaria del credito. Il ricorrente, tra l’altro, non ha mai nemmeno dedotto di aver azionato i propri crediti, nemmeno con le procedure monitorie. Sicché la scorciatoia della creazione ad hoc di fatture false per ottenere un risultato che, in mancanza di deduzioni sulla tutela giudiziaria dei crediti, è oltretutto incerto, è due volte inammissibile: a) perché il risultato perseguito non è affatto scontato; b) perché non è ammissibile ricorrere ad una azione criminosa per conseguire un risultato lecito per il quale, oltretutto, l’ordinamento contempla strumenti ritenuti idonei allo scopo.

Autorità: Cassazione penale sez. III

Data: 10/12/2014

Numero: 12531